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Guardare Atene per capire l’Europa, guardare a Bruxelles per capire la Grecia

Banche chiuse per evitare la fuga dei crediti e limitazioni dei prelievi al bancomat per i cittadini in Grecia. Una situazione pesante nel paese in vista del referendum del 5 luglio, che deciderà se accettare condizioni proposte dai creditori internazionali in cambio di nuovi aiuti finanziari. La questione non è soltanto economica, ma politica, sebbene oggi le principali borse europee abbiano aperto in calo e la borsa di Atene resterà chiusa fino al 7 luglio. Ne abbiamo parlato con il giornalista Cosimo Caridi, che si trova ad Atene.

Com’è la situazione ad Atene?

«La situazione non è bella, la maggior parte dei bancomat sono chiusi, ci sono code molto lunghe alla Banca Nazionale che è l’unica che distribuisce banconote, per ora. Il Governo ha deciso di porre un limite ai prelievi giornalieri (che vale solo per le banche pubbliche), e c’è un blocco nella gestione dei bonifici e nei pagamenti dall’estero: la situazione è abbastanza seria. Domani scade una tranche da 1,6 miliardi di debito che i greci devono pagare al Fondo Monetario Internazionale, se non pagano inizierà il default. Non dobbiamo immaginarlo ancora come l’Argentina del 2001, qui la gente è ancora tranquilla, anche se probabilmente i problemi inizieranno con code nei supermercati e nei benzinai. I beni che vengono importati dall’estero avranno un brusco rialzo e mancheranno immediatamente euro per l’importazione. Gli scenari che si aprono sono molti, il più catastrofico è quello del ritorno alla dracma: ci vorranno dalle due alle quattro settimane perché parta il default e dopo potrebbero iniziare i pagamenti con I owe you, in pratica dei “pagherò” che diverranno una moneta secondaria con la quale il Governo pagherà i suoi dipendenti. In questo momento la Grecia ha oltre 400 mila pensionati, si dice che il 50 % delle famiglie viva grazie a una pensione o con l’aiuto di un pensionato: il totale della spesa per pensioni e stipendi pubblici è attorno al miliardo e mezzo mensile. Non sono numeri enormi rispetto ad un economia come quella Europea, ma grandi per quella greca, che è indebitata per oltre 300 miliardi con Bce, Unione Europea e Fmi».

Come sta reagendo la società civile?

«La Grecia non è arrivata a questo punto da un giorno all’altro, sono diversi anni che si parla di un default vicinissimo. I greci si aspettano che succeda una cosa del genere: chiaramente quando sono arrivati davanti ai bancomat chiusi o con delle code di 40 persone, la reazione è stata di sorpresa o di rabbia. Ora è tutto tranquillo ma si inizia a vedere la polizia in assetto anti sommossa, e il controllo dello Stato mira ad alcuni quartieri di Atene, come Exarchia, perché potrebbero esserci ulteriori proteste. Nell’ultima settimana ci sono state piccole mobilitazioni tutti i giorni, mai finite in maniera violenta, ma la Grecia degli ultimi anni ha mostrato la possibilità di far esplodere grandi tumulti di piazza in pochi giorni».

Referendum: deresponsabilizzazione o elogio della democrazia?

«Sicuramente è stato un colpo di teatro che nessuno si aspettava: sapevamo che c’era un accordo che doveva essere firmato, che c’erano diverse fratture interne a Syriza che comportavano una certa difficoltà a cambiare nuovamente gli accordi con le istituzioni europee e sapevamo che l’ex Troika non aveva molta voglia di venire incontro alla Grecia. La differenza tra le proposte greche e quelle europee è minima, 0,4 -0,5 punti di Pil greco che vale il 2% di quello europeo: qualche miliardo di euro che ha portato allo stallo dei negoziati per diverse settimane e nel momento in cui Tsipras ha deciso di far prendere la decisione agli elettori è stata vista in modo contrastante. Chi lo attacca l’ha vista come una mancata volontà di decisione, mentre chi lo sostiene afferma che con questa scelta si affermano i valori che la Grecia vuole portare all’Europa. Se è vero che forse ci sono entrambi questi aspetti, è anche vero che Tsipras è un politico furbo, che sa come parlare all’opinione pubblica ma soprattutto come parlare all’Europa. Quello che accadrà qui comporterà una serie di importanti rivoluzioni nel continente: entro i prossimi 8 mesi votano tre dei paesi più indebitati in Europa: Portogallo a settembre, la Spagna a novembre, l’Irlanda a febbraio. Un cambiamento forte ad Atene comporterà per forza una ricaduta sul resto dell’economia europea: oggi le borse avevano segni negativi, il dollaro guadagnava molto sull’euro, la Merkel e Hollande sono impegnati in vertici su come limitare i problemi, Padoan dice che l’Italia non è a rischio, ma se perdiamo punti sul dollaro perdiamo la possibilità di essere valuta forte. Dunque è molto più importante osservare cosa sta succedendo in Europa, piuttosto che qui ad Atene. Se pensiamo che questa sia una questione economica, sbagliamo, si tratta di una pressione politica. Il punto è capire se si può accettare che un paese dell’euro faccia una scelta diversa rispetto alla politica monetaria europea. Togliendo la sovranità economica dei nostri paesi per darla all’Europa, avremmo dovuto riconoscere una capacità politica di governare, ma così non è stato.».

Quali prospettive prima del referendum?

«Evidentemente il referendum è una campagna che si giocherà in fretta. Ci sarà una forte contrapposizione mediatica e dell’opinione pubblica: i primi sondaggi dicono che i greci voterebbero per il sì sono il 52%. Il voto serve a capire se accettare o meno il memorandum dell’Europa, ma sembra diventato un referendum sull’euro. Vincesse il no, il passo successivo sarebbe l’uscita dalla moneta unica, ma Tsipras lo nega e dice che la Grecia guadagnerebbe solo potenzialità maggiori nella discussione a Bruxelles. Personalmente credo che la tensione potrebbe limitarsi prima del referendum, potrebbe esserci un’altra proposta di accordo prima di votare. Bisogna aspettare e vedere cosa succederà nelle prossime ore».

Foto di Joanna via Flickr | Licenza CC BY 2.0