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La seduzione dell’immagine e il pensiero critico della Riforma

«Alcuni anni fa ho visitato un monastero femminile in Russia. La badessa ci spiegò che la maggior parte delle giovani che vi lavoravano erano cresciute senza fede nell’Unione Sovietica, ma lì, nel monastero, avevano trovato l’accesso a Dio. Chiesi come ne fosse sicura, se magari per esempio leggesse la Bibbia con loro. “Ah – disse -, non è necessario; tutte hanno un’icona nella loro cella; quando la guardano negli occhi, conoscono tutta la Bibbia e Cristo in persona”. Fu uno di quei momenti nei quali mi fu chiaro quanto io sia luterana». Con questo aneddoto la pastora Margot Käßmann nella conferenza su «Bibbia e arte» tenuta martedì 23 giugno presso la chiesa luterana di Venezia, ha efficacemente delineato il rapporto, spesso conflittuale, della Riforma protestante con le immagini: da un lato, la supremazia della parola, la centralità della Bibbia e della «lotta» con il testo; dall’altro, una estrema diffidenza, fino a sfociare nell’iconoclastia, verso l’immagine, come strumento devozionale che si trasforma in idolo e fonte di superstizione.

L’occasione della conferenza a Venezia di Käßmann, ambasciatrice della Chiesa evangelica in Germania (Ekd) per il Cinquecentenario della Riforma (1517-2017) è duplice: da un lato, la mostra dello scultore Ernst Barlach ospitata, nell’ambito della Biennale di Venezia, nei locali della chiesa luterana in campo SS. Apostoli; dall’altro, l’anno tematico del Decennio di Lutero quest’anno dedicato proprio al rapporto della Riforma protestante con le arti figurative. Un rapporto che esiste, ed è testimoniato dagli artisti che accompagnarono la Riforma come Lucas Cranach il Giovane (1515-1588), di cui quest’anno si ricorda la nascita, che seppe esprimere nei suoi dipinti la teologia di Lutero. E’ proprio Lutero ad ammettere un uso positivo dell’immagine che può «stimolare la fantasia, la fede, la riflessione». Detto questo, per un protestante classico, «l”immagine non può sostituire la parola, né il guardare l’ascoltare».

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Margot Käßmann con l’angelo di Guestow nella chiesa luterana di Venezia

Questa impostazione può costituire un grave handicap comunicativo nell’attuale «società dell’immagine». E invece, secondo Käßmann, è proprio nella nostra contemporaneità, dagli albori della fotografia e del cinema fino ai video postati su youtube, che il pensiero protestante ridiventa attuale e, in qualche modo, «necessario». Le immagini, ci ricorda Käßmann, possono essere «seducenti», si prestano «bene alla menzogna e alla manipolazione» – hanno ogi come allora gli stessi tratti che facevano parlare i Riformatori di idolatria e superstizione. Gli esempi non mancano: cento anni fa c’erano «immagini di soldati che marciavano allegramente, ma nessuna che mostrasse come fosse terribile la realtà sui campi delle Fiandre o a Verdun». 75 anni fa la Germania era piena di «immagini di una grande potenza sicura di vincere, ma nessuna immagine di bambini ebrei umiliati, di camere a gas, di esecuzioni di gente innocente». E la seduzione e la manipolazione dell’immagine è giunta fino a noi attraverso le esecuzioni postate su youtube dai miliziani dell’Isis. «Viviamo in un mondo in cui l’iconoclastia non è più possibile – ha riflettuto Käßmann -: una volta postato, un contenuto rimane in rete per sempre».

Dunque, la diffidenza protestante nei confronti dell’immagine, nella versione sobria di Lutero, può essere un buono strumento critico per la nostra società dell’immagine. «A Cinquecento anni di distanza cosa ci insegna la Riforma sullo sguardo sulle immagini del nostro tempo? – si chiede Käßmann – Per prima cosa che le immagini sono potenti, oggi come allora, anche se in modo totalmente diverso in tempi della fotografia, dell’immagine in movimento e di Internet. E anche oggi è importante non dare alle immagini così tanta potenza, non lasciarsi trasportare dalla loro forza suggestiva. Anche oggi è necessario far prevalere la riflessione e la ragione di fronte all’enorme magia e alla forza persuasiva delle immagini. È richiesto uno spirito critico!» E questo è quanto la Riforma ci può insegnare.