luserna

Felicità, grazia, gioia…

Happiness (Felicità), Happy (Felicia), Joy (Gioia), Grace (Grazia)… sono solo alcuni dei nomi di queste 30 giovani ragazze. Arrivano dall’Africa, scappano da povertà (soprattutto) e da conflitti. Che cosa vedano nell’Italia non è chiaro. Il luogo più vicino dove poter trovare un lavoro e ricostruirsi una vita, come parrucchiera (la maggior parte di esse) o come sarte. Le abbiamo incontrare nel tardo pomeriggio di domenica, assieme al pastore Giuseppe Ficara, della chiesa valdese di Luserna San Giovanni, uno dei pochi a portare un po’ del mondo di fuori là dentro, assieme ad alcuni instancabili e insostituibili volontari e volontarie, operatori e operatrici. Troppo pochi però. Perché queste ragazze hanno un gran bisogno di tutto.

Le loro storie non c’è bisogno di farsele raccontare. È sufficiente guardarle negli occhi durante la preghiera del pastore Ficara. Oppure osservare il trasporto della loro spiritualità mentre intonano uno dei loro canti. Che non si ferma e ne trascina un altro, come una lunga serie di preghiere spontanee. Si trovano da un po’ di tempo nell’ex albergo «Giardino» in frazione Luserna a Luserna San Giovanni. In questa struttura, dopo la chiusura dell’attività ricettiva, sono passati anni fa i rifugiati e poi una casa famiglia. Oggi sono rimasti alcuni anziani e queste trenta ragazze, mentre recentemente, nei mesi scorsi, avevano soggiornato anche ragazze con figli e figlie piccole, sempre in fuga dall’Africa. La struttura è gestita dalla cooperativa «Liberi Tutti» di Torino (facente capo al consorzio «Kairòs», anch’esso di Torino) e dalla proprietaria della struttura Silvana Furuli.

La situazione è sicuramente molto delicata e diversa da quella, di cui abbiamo ampiamente e approfonditamente parlato, dei migranti ospitati alla Crumière di Villar Pellice. Anche qui non sono mancate le polemiche, ma dopo l’impatto dei primi giorni si è iniziato un lavoro di accoglienza e di informazione alla cittadinanza (tra cui una serata pubblica che ha riempito il tempio valdese). Il tanto clamore di Villar fa da contraltare al silenzio con cui sono invece arrivate, a più riprese, decine e decine di donne e ragazze a Luserna, nella centralissima piazza, davanti alla chiesa cattolica. E da qui se ne sono anche andate. Nessuna serata pubblica e pochi contatti con l’esterno.

Un pesante cancello di ferro sbarra l’entrata in quello che era l’ex-albergo «Giardino». Ad accoglierci troviamo la mediatrice culturale e un volontario e durante il momento di preghiera, condotto dal pastore Ficara, arriva anche la responsabile che ci accompagna nei vari spazi della struttura. «Le ragazze cucinano loro i cibi – spiega Furuli – e a turno lavano i piatti. Dormono in stanze e si gestiscono gli spazi. Ci sono alcune tensioni fra i diversi gruppi etnici, soprattutto fra francofone e anglofone. Lo scorso fine settimana invece abbiamo avuto a sorpresa un controllo della polizia municipale di Luserna San Giovanni e degli assistenti sociali della Comunità montana. Hanno controllato tutto quanto fotografando e riprendendo gli interni e le ragazze. Non capisco questo accanimento nei miei confronti» (alcuni mesi fa era stata fatta chiudere dall’AslTo3 la «casa famiglia» gestita all’interno del «Giardino» proprio da Furuli).

Nella struttura incontriamo anche alcuni ospiti anziani, pochi, forse un po’ straniti dalla vitalità delle giovani ragazze (anche se a Vittoria, in Sicilia, la locale casa di riposo in crisi di presenze ha aperto le porte ai migranti creando un nuovo modello di assistenza) e una situazione sostenibile ma migliorabile. Ci sono problemi legati alla carenza di acqua calda (poche stanze hanno il bagno con questo servizio essenziale) e sulla scarsità di personale. «C’è una persona 24 ore su 24, due mediatrici culturali, io e alcuni volontari» aggiunge Furuli.

«Le storie sono quelle tragiche delle persone che fuggono da Nigeria, Ghana e Mali a cui spesso “qualcuno” paga il viaggio verso l’Italia – ci spiegano – e una volta giunte qua vengono immediatamente contattate da questa “organizzazione” e avviate alla prostituzione. Stiamo parlando di vera e propria “tratta”, con alle spalle una forte e potente organizzazione. Il nostro obiettivo è quindi quello di metterle in guardia di fronte a questa tragica realtà, di diffidare da chi promette loro un lavoro e di rimanere da noi. Stanno partendo in questi giorni dei corsi di alfabetizzazione di italiano e tutti i giorni cerchiamo di mostrar loro qualcosa del nostro mondo, così diverso da quello estremamente povero da cui provengono, per aiutarle a inserirsi nella nostra cultura».

Ma c’è il bisogno di tutti (istituzioni, associazioni, cittadini) affinché i loro gioiosi nomi corrispondano a sorrisi.

Foto di Samuele Revel