lampedusa

La frontiera dell’Europa si sposta fuori dall’Europa

Nei giorni scorsi, a Bruxelles, undici paesi si sono riuniti per discutere dei flussi migratori nei Balcani e sull’accoglienza dei profughi. Durante l’incontro è stato approvato un piano che prevede 100 mila posti di accoglienza lungo la rotta balcanica, di cui 50 mila ricollocati in Grecia, ma anche un maggiore controllo della polizia di frontiera per identificare i profughi. Il presidente della Commissione europea Juncker sottolineato l’importanza del summit, convinto che si debbano evitare decisioni unilaterali dei diversi paesi, come la chiusura delle frontiere, che danneggiano gli stati confinanti. Ne abbiamo parlato con Alberto Mallardo, operatore dell’osservatorio Mediterranean Hope a Lampedusa, progetto della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia.

Cosa pensa di questo summit e delle decisioni prese?

«Il summit ricalca le precedenti direttive europee: non c’è nulla di nuovo se non l’apertura di 100 mila posti, che però andranno per metà in Grecia, un paese di confine che da mesi sta affrontando il flusso di migliaia di persone. Decisioni che si pongono sulla stessa linea di quelle che prevedono la distinzione tra migranti economici, che non hanno diritto a chiedere la protezione, e gli altri, che arrivano prevalentemente da Iraq, Eritrea, Siria, e Repubblica Centrafricana e che invece possono avere diritto alla protezione in Europa ed essere inseriti nel sistema delle quote. Dai documenti si capisce che i rimpatri sono un elemento chiave della nuova strategia europea e che dovrebbero avvenire attraverso rapporti con “paesi terzi sicuri”, non facenti parte dell’Ue. Tra questi la Turchia, che sembra uno dei partner principali nella strategia europea. Queste partnership vengono effettuate con il supporto economico di miliardi di euro: la Turchia, per esempio, dovrebbe ricevere 3 miliardi e 300 milioni, proprio per gestire i flussi. Si parla ancora una volta di esternalizzare le frontiere dell’Ue».

La Turchia può essere un paese sicuro?

«Il terreno è molto complesso, non posso dare giudizi definitivi. Detto questo in Turchia la situazione sociale è assai complicata: dalla questione curda alle decine di attentati negli ultimi mesi, dal ruolo chiave del paese nel conflitto siriano agli interessi in gioco con l’Isis. La posizione è chiave, ma il premier attuale non si sta distinguendo per il rispetto dei diritti umani e per le sue aperture democratiche. Quindi inserire il governo turco all’interno di una lista di paesi sicuri è probabilmente un azzardo dato dalla necessità di esternare i confini».

Esternalizzare la frontiere, oppure marginalizzare il problema: ricorda la strategia degli hotspot?

«Occorre ricordarsi che quello che si legge nei documenti europei spesso non si traduce in realtà. Il nuovo sistema degli hotspot, con l’identificazione e divisione dei migranti economici e profughi è solo una delle questioni; ma nelle ultime settimane è stato denunciato da più parti come Caritas, Migrantes o Save The Children, un fatto preoccupante: la consegna di fogli di via a chi è riconosciuto come migrante economico, al quale si chiede di lasciare il territorio nazionale da Fiumicino. In sostanza sono persone che vengono espulse dai meccanismi di accoglienza e lasciate a loro stesse nella precarietà. Le criticità sono assolute e andrebbero analizzate».

A proposito dell’identificazione, la Merkel ha detto che senza si perderanno tutti i diritti

«Il regolamento di Dublino deve essere rivisto, ma ora non si sta andando nella giusta direzione: questo sistema di quote, che permetterà a migliaia di persone di trovare uno status legale di non clandestinità, comunque vedrà ancora migliaia di persone senza diritti. Prima di questi 100 mila di cui ha deciso il summit, si parlava di 140 mila persone ricollocate: gli arrivi, solo nel 2015 sono stati 500 mila. A Lampedusa stiamo cominciando a riflettere su queste decisioni prese a livello europeo, attraverso l’assemblea di cittadini chiamata Forum Lampedusa Solidale, nella quale ci poniamo delle domande su ciò che influenza non solo la vita dei migranti, ma anche le popolazioni locali che vivono a contatto con hotspot e centri di accoglienza. Sembra che nessuno che sappia darci delle risposte. Un ultima cosa: il ricollocamento delle 140 mila persone, secondo il sistema delle quote, avviene dopo che queste hanno già attraversato il Mediterraneo: l’unica soluzione sarebbero i corridoi umanitari, quel meccanismo che prevede la concessione di visti per protezione umanitaria direttamente nei paesi dove i migranti partono, evitando per esempio, le 3000 vittime del mare soltanto di quest’anno».

Foto: Matteo De Fazio/RBE