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Ecumenismo meteorologico?

Dal 4 all’8 dicembre avrà luogo a Pomezia (Rm) la XVII Assemblea della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei). In vista di questa assise triennale del protestantesimo italiano, che coinvolgerà circa 150 tra delegati (in rappresentanza delle chiese battiste, metodiste, valdesi, luterane, Esercito della Salvezza, e alcune chiese libere che aderiscono alla Fcei), osservatori e ospiti, l’agenzia stampa della Fcei, «Nev – Notizie evangeliche» proporrà una serie di schede e interviste con lo scopo di offrire una panoramica sulle questioni che caratterizzano il lavoro e la testimonianza della Federazione. Il primo contributo è un’intervista sul tema dell’ecumenismo alla pastora Maria Bonafede, responsabile per il Consiglio FCEI dei rapporti ecumenici. 

Tre anni fa, alla vigilia dell’Assemblea Fcei del 2012, per descrivere la stagione dell’ecumenismo si parlava di «inverno». Oggi, alla vigilia di un’altra Assemblea, l’ecumenismo sembra essere animato da molte speranze. Ritiene che si sia passati dall’inverno alla primavera?

«In questo triennio sono accaduti dei fatti che fanno la differenza. Le dimissioni di Benedetto XVI e l’avvento di Francesco sono i fatti che hanno consentito un nuovo respiro ecumenico. Il cardinale Ratzinger era un teologo molto conservatore e quando è stato eletto papa ha continuato a essere quello che era e cioè un conservatore, particolarmente ostile alla Riforma che considerava un errore storico – come d’altronde anche la modernità. Questo atteggiamento ha bloccato di fatto in Italia il movimento ecumenico: il minimo che c’era è rimasto, ma si segnava il passo, rimanendo sempre fermi. Poi, Benedetto si è reso conto di non essere al posto giusto e di essere circondato da poteri più forti di lui, e se ne è andato umanizzando e ridimensionando, suo malgrado, la figura del pontefice.

Francesco ha un altro stile e, a cominciare dal nome che si è scelto, sta facendo cose nuove sia per governare lo strapotere della curia, sia per riportare una chiesa fortemente compromessa con il potere e con la segretezza delle “tenebre” a compromettersi invece con la luce dell’Evangelo che dà spazio, ascolto e accoglienza ai minimi di tutte le categorie. Le persone che oggi sono state investite della responsabilità dell’ecumenismo nella chiesa cattolica romana credono in quello che fanno e delle cose cominciano a muoversi. È cambiata, ad esempio, la posizione della Conferenza episcopale italiana (Cei) sul tema della libertà religiosa, mostrando disponibilità circa il consenso al fine di varare una legge che sostituisca finalmente quella del 1929 sui “culti ammessi”. È stato possibile giungere a un appello, promosso congiuntamente dalla Cei e dalla Fcei, sulla violenza contro le donne e sul femminicidio, che dice esplicitamente che le chiese cristiane devono ripensare la loro predicazione e la loro funzione di formatrici delle coscienze. Quel testo ha qualcosa in comune con una confessione di peccato più che con un atto di accusa. È uscita un’enciclica sui temi dell’ambiente e sul clima, che sono temi su cui il Consiglio ecumenico delle chiese riflette da anni. Sull’accoglienza di rifugiati e migranti si sta lavorando insieme e ora è stato possibile progettare un’azione comune tra Fcei e Comunità di S. Egidio per creare dei corridoi umanitari in Marocco e Libano, con l’impegno a rendersi accoglienti in prima persona verso le centinaia di persone che arriveranno in Italia, avendo il benestare del governo italiano. Insomma, mi sembrano dei bei passi nella direzione di un ecumenismo del pensiero e delle azioni!»

Al tempio valdese di Torino, lo scorso giugno, per la visita di papa Francesco erano presenti anche molti rappresentanti dell’evangelismo italiano. Cosa ha significato quella visita e la richiesta di perdono del pontefice?

«È stato un fatto importante. Con questo papa e con le scelte da lui operate in questi due anni di pontificato si erano create le condizioni per invitare il rappresentante mondiale del cattolicesimo romano ad incontrare la Chiesa valdese – piccola chiesa antica, nata da un movimento coevo di Francesco d’Assisi, centrata sul sacerdozio universale dei credenti, sulla giustificazione per grazia mediante la fede, sulla libera lettura e predicazione dell’Evangelo, e a lungo perseguitata per la sua fede dalla chiesa romana e dai suoi alleati politici. La Tavola valdese ha saputo cogliere questa occasione e l’ha saputa cogliere anche papa Francesco. È stata una scelta illuminata e, io credo, guidata dallo Spirito e di grande valore. Il pontefice è venuto a chiedere perdono ai valdesi in nome della sua chiesa! La sua scelta credo sia stata di valore spirituale incalcolabile. Avrebbe potuto dire altre cose, andare su altri registri, tutti sensati e possibili, ma ha scelto il cuore del problema: nominare il peccato – “comportamenti non cristiani e persino non umani” – e chiedere perdono. L’assemblea che ha ricevuto queste parole ha avuto un fremito. Quando si chiede perdono ci si mette completamente nelle mani di Dio, si esce dallo schema liturgico in cui al pentimento segue l’annunzio del perdono e si entra in quello spazio che solo Dio può colmare, trasformando la realtà. E i valdesi, con il timore e il tremore di chi deve parlare di fronte a Dio e in suo nome, e la consapevolezza di toccare una storia che gronda di umiliazione e di sofferenza, hanno accordato il loro perdono. Il Signore opererà».

Da sempre l’ecumenismo per la Fcei si esprime anche in una rete di relazioni internazionali. Quali eventi e quali tematiche hanno caratterizzato questo particolare aspetto?

«L’ambito internazionale riguarda soprattutto l’appartenenza alle reti ecumeniche europee come la Conferenza delle chiese europee (Kek). In questo triennio la Kek ha tenuto la sua Assemblea generale (Budapest 2013), durante la quale e al termine di un acceso dibattito, ha deciso di cambiare radicalmente la sua struttura e di dotarsi di una nuova costituzione. La Fcei insieme alle chiese battiste, metodiste e valdesi, ha avanzato alcune perplessità riguardo a questi cambiamenti che hanno portato, per esempio, nel dicembre 2014, allo scioglimento della Commissione chiesa e società – un organo della Kek con il quale la FCEI ha sempre collaborato proficuamente, e con il quale ha recentemente organizzato due seminari sui diritti umani a Palermo (2013 e 2014). Sempre nell’ambito della Kek rimangono importanti gli incontri annuali con le altre Federazioni e Consigli nazionali di chiese europei: incontri che ci permettono di conoscere e condividere la testimonianza delle chiese nelle varie società europee.

Per tirare le somme, cosa si aspetta per il futuro?

«Niente di più che il cammino continui. Vorrei che rinunciassimo all’ecumenismo meteorologico che procede quando splende il sole e si ferma quando piove. Vorrei un cammino costante, magari con un passo prudente ma convinto. Per noi evangelici, infatti, l’ecumenismo non è una moda ne un’opportunità ma un modo di vivere la nostra testimonianza cristiana.

Foto Pietro Romeo/Riforma