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In Turchia vince Erdogan, ma reggono le minoranze

 Le elezioni presidenziali in Turchia, che si sono tenute domenica 1 novembre ad appena cinque mesi dalle precedenti, hanno premiato il presidente in carica, Recep Tayyip Erdoğan, e il suo partito, l’Akp.

I risultati definitivi parlano infatti di un consenso per il Partito Giustizia e Sviluppo appena inferiore al 50%. Secondo Lorenzo Marinone, caporedattore di East Journal per Medio Oriente, Turchia e Nord Africa, si tratta di «una vittoria a metà» rispetto ai due obiettivi primari del capo dello stato turco, che con i suoi 317 seggi potrà legiferare senza problemi, ma non ha i numeri per proporre un referendum e cambiare la costituzione nell’ottica di un presidenzialismo più marcato. Erdogan si ritrova quindi a dover cercare il supporto del Partito Popolare Repubblicano, o Chp, la componente socialdemocratica e kemalista nel parlamento, che ha confermato le stesse percentuali e gli stessi seggi di giugno, raccogliendo un quarto dei consensi dell’elettorato e 134 deputati. Secondo Marinone, «dire che il Chp farà un’opposizione seria sembra un po’ ottimistico, perché non ha una vera e propria posizione di forza».

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Foto “Turkish general election, November 2015 map” by Nub CakeOwn work. Licensed under CC BY-SA 4.0 via Commons.

Terminati i conteggi, il gioco della rappresentanza politica fa sì che tutte le parti politiche sottolineino la positività del risultato. Lo fa prima di tutto Erdogan, forte della sua netta affermazione, arrivata al termine di una stagione politica caratterizzata da grande tensione e da sanguinosi attentati sul territorio turco. «L’abbiamo chiamata “strategia della violenza” – racconta Marinone – richiamando espressamente la strategia della tensione che abbiamo conosciuto in Italia e che anche per la Turchia non è un fenomeno del tutto nuovo, ed evidentemente ha pagato. Episodi come quello della strage di Ankara del 10 di ottobre sono stati pesantissimi per il partito curdo dell’Hdp». La ricerca di sicurezza, vera o promessa dal governo Erdogan, ha penalizzato in modo evidente la sinistra turca e filocurda dell’Hdp, che è tuttavia riuscita a superare la soglia di sbarramento del 10% prevista dal sistema elettorale proporzionale turco.

«Poche decine di migliaia di voti in meno e sarebbe rimasto fuori dal parlamento», spiega Marinone. Se questo fosse avvenuto, oltre alla cancellazione della rappresentanza della principale minoranza del paese, si sarebbe assistito a una distorsione del risultato elettorale di grandi proporzioni, con un parlamento composto da tre soli partiti e un Akp che avrebbe raccolto quasi tutti i 59 seggi andati invece alla sinistra turca e curda dell’Hdp.

Anche se i numeri raccontano di una forte flessione del Partito Democratico del Popolo, che a giugno aveva raccolto circa il 13% dei consensi e che in questa tornata ha perso circa un milione di voti, pari a oltre due punti percentuali, la conferma in parlamento è una notizia di rilievo, perché consolida la presenza di un movimento politico che fino allo scorso giugno non era mai stato rappresentato nelle sedi istituzionali. L’Hdp, nato nel 2012, è quindi riuscito dove tutti i partiti della principale minoranza del paese non avevano mai avuto successo. Infatti, i suoi predecessori avevano sempre fallito nel tentativo di superare la soglia del 10% e prima di essere dichiarati illegali dal governo. Un effetto dell’alta soglia di sbarramento è stato per anni tenere i Curdi fuori dal parlamento. «Credo che questo risultato dell’Hdp sia un risultato storico se si tengono in considerazione le condizioni in cui si è svolto il voto – prosegue Lorenzo Marinone – perché non dobbiamo dimenticare che da giugno a oggi c’è stata la ripresa della lotta armata, del conflitto con il Pkk, quindi una militarizzazione da parte dell’esercito di tutto il sudest della Turchia e di tutte le regioni a maggioranza curda. Non dimentichiamo che è stato impedito spesso e volentieri all’Hdp di tenere comizi e addirittura di stampare volantini elettorali. Nonostante questo l’Hdp è riuscito ad entrare in parlamento e a mantenere la sua base di voti».

Allo stesso modo, pur con proporzioni nettamente inferiori, anche i deputati delle minoranze armena, siriaca, yazidi, mhallami e rom hanno confermato la loro presenza nel parlamento turco. Il quotidiano turco Hurriyet racconta infatti che i tre deputati turco–armeni già eletti nella scorsa legislatura, uno per ogni partito presente in parlamento con l’esclusione dei nazionalisti di Mhp, partito nel quale sono confluiti in passato anche movimenti come i Lupi Grigi, sono stati confermati. Come i curdi, anche i rom entrano per la seconda volta nel parlamento turco dopo aver esordito con le elezioni di giugno. Ozcan Purcu del Chp era stato infatti il primo deputato di etnia rom a conquistare un seggio. Nelle file dell’Hdp hanno trovato conferma anche Mehmet Ali Aslan, di origine mhallami, rieletto nel collegio orientale di Batman, e Feleknas Uca, di origini yazidi, oltre a Erol Dora, avvocato di etnia siriaca. L’Akp ha invece portato in parlamento l’azero Kiznaz Turkeli.

La presenza delle minoranze in parlamento non risolve le sfide che attendono la Turchia, che sia sul fronte interno sia su quello esterno è chiamata a dare delle risposte importanti in termini di democrazia e di coesione, ma se non altro allontanano lo spettro di una realtà sempre più appiattita su una maggioranza monocolore, accodata a un solo leader e al suo sogno di un paese sempre meno plurale.

Foto  “Peoples’ Democratic Party electoral rally 2015 (HDP)” by Salih Turan (VOA) – http://www.amerikaninsesi.com/content/hdpye-mersin-ve-adanada-saldiri/2775665.html. Licensed under Public Domain via Wikimedia Commons.