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Il voto cristiano alle primarie americane

Donald Trump è il candidato degli evangelici statunitensi? Sì, stando alla grande maggioranza dei media americani, all’indomani del Supermartedì: il 1. marzo il magnate dell’immobiliare, in testa nella corsa all’investitura repubblicana, ha ottenuto il sostegno di un terzo degli elettori che si definiscono “born again Christians” (“cristiani nati di nuovo”) negli undici Stati partecipanti a questa tappa chiave delle primarie negli Stati Uniti. Una delusione per il principale avversario di Donald Trump, il repubblicano e battista del sud Ted Cruz, che dall’inizio della campagna contava sulla mobilitazione della destra cristiana degli Stati del sud della “Bible Belt”.

Evangelici criticano Trump
Se Trump è sostenuto da personaggi cristiani ultramediatici come il pastore televangelista texano Mike Murdock e il presidente della Liberty University Jerry Falwell Jr (alla guida della più grande università cristiana degli Stati Uniti), sono molti anche i pastori evangelici conservatori che hanno preso posizione per denunciare la sua mancanza di civiltà nel corso della campagna.
È il caso del pastore Max Lucado che condanna, in un editoriale pubblicato sul “Washington Post”, “l’indecenza” delle dichiarazioni di Donald Trump. «Le sue buffonerie mi amareggiano. Copre di ridicolo un eroe di guerra […]. Deride un reporter disabile. Dà dell’imbecille a tutti», riporta, addolorato, il leader evangelico texano. «E come se non bastasse lo fa brandendo la Bibbia e vantandosi della sua fede cristiana».
Lo stesso vale per Russell Moore, presidente della Commissione per l’etica e la libertà religiosa della Convenzione battista del sud, che attacca regolarmente il miliardario americano su Twitter: «Quando si guadagna in politica ma si perde il messaggio del Vangelo lungo la strada, non si è vinto nulla del tutto», ritiene il pastore, che non esita a assimilare Donald Trump al “Vitello d’oro”.

 

Scarto politico considerevole
Se gli evangelici si identificano in maggioranza nel campo conservatore (56% di repubblicani contro il 28% di democratici, secondo il Pew Research Center), esistono anche al suo interno dei raggruppamenti progressisti. È il caso della comunità “Sojourners”, fondata all’inizio degli anni Settanta dal pastore evangelico Jim Wallis. Senza pronunciarsi a favore di un candidato specifico non esita a prendersela apertamente con le idee di Trump e con i cristiani che le sostengono. «Questa campagna mi fa vergognare di essere evangelico», spiega. «In quanto cristiani non possiamo votare per un razzista, qualcuno che stigmatizza i musulmani americani e gli immigrati. Bisogna rileggere il vangelo secondo Luca (4, 18): “Lo Spirito del Signore è sopra di me, perché mi ha unto per annunziare ai poveri un lieto messaggio; mi ha mandato per guarire quelli che hanno il cuore rotto, per proclamare la liberazione ai prigionieri e il recupero della vista ai ciechi, per rimettere in libertà gli oppressi”. Un vero evangelico non può credere nemmeno per un solo istante che l’elezione di Trump possa essere un lieto messaggio per i poveri».

Un’infatuazione pericolosa
Allora come spiegare l’infatuazione dei fedeli evangelici per l’agitatore populista? «Secondo me, quando i media parlano di elettori evangelici, quelli a cui si riferiscono sono soprattutto e prima di tutto elettori bianchi», ritiene Jim Wallis. «Si tratta di una determinata fascia della popolazione che è spaventata dai cambiamenti demografici all’interno della società americana, perché stiamo diventando un paese costituito da una maggioranza di minoranze. E questo è, a mio avviso, una benedizione per il futuro dell’America», rileva il pastore che ha appena pubblicato un nuovo libro sull’argomento, America’s Original Sin: Racism, White Privilege and the Bridge to a New America, (Brazos Press, 2016).
Una analisi confermata dalla politologa Amy Black, professoressa presso il Wheaton College nell’Illinois. «Il termine ‘evangelico’ usato nei sondaggi all’uscita dalle urne è molto vago. Si basa sul modo in cui si definiscono gli intervistati. Ma bisogna sapere che molte persone, in particolare negli Stati del sud della Bible Belt, tendono a definirsi evangelici anche se non sono praticanti. Del resto certi sondaggi mostrano che il sostegno a Donald Trump è molto meno marcato tra gli elettori che frequentano assiduamente la chiesa. Ottiene i suoi risultati migliori tra le persone non religiose».

Populismo contro impegno sociale
Questo spiega probabilmente il considerevole scarto politico esistente tra i leader delle Chiese e gli elettori detti “evangelici”: secondo un recente sondaggio dell’istituto LifeWay Research soltanto il 5% dei pastori che si dichiara repubblicano sarebbe pronto a votare per Donald Trump, contro un 8% che voterebbe per Marco Rubio, il 10% per Ben Carson e il 29% per Ted Cruz.
Benché per legge siano tutti tenuti a rispettare una certa neutralità politica all’interno delle loro Chiese, i responsabili cristiani cercano molto spesso di impegnarsi in un modo o in un altro nella vita democratica del paese, sia denunciando le derive di certi candidati nel corso della campagna, sia attirando l’attenzione su certe problematiche sociali che stanno loro a cuore. «Non parliamo a nome di alcuna piattaforma politica, ma storicamente siamo sempre stati molto impegnati nella lotta per i diritti civili e più in particolare per il diritto di voto», spiega Sandy Sorensen, direttrice dell’Ufficio per la giustizia della United Church of Christ (Chiesa unita di Cristo) a Washington, molto impegnata nell’ambito del diritto all’aborto. «Partiamo dal principio che in quanto cristiani che lavorano per il bene comune è unendo i nostri sforzi e superando le nostre differenze che emergeranno le idee migliori. Ma affinché questo avvenga ci vuole un minimo di rispetto e questa campagna ne è terribilmente priva».

Sostegno delle Chiese di colore
Altri leader religiosi non esitano a sostenere apertamente un candidato. Alla fine di gennaio 28 pastori di Chiese afroamericane, conquistati da una visita della democratica Hillary Clinton a una chiesa episcopale metodista africana (AME) di Filadelfia, hanno annunciato il loro impegno al suo fianco. «Hillary Clinton era molto a suo agio nella nostra chiesa, tanto più che lei stessa è metodista», assicura il reverendo Mark Tyler. «Abbiamo apprezzato il fatto che sia molto impegnata su temi che toccano particolarmente la comunità di colore: l’educazione dell’infanzia, l’accesso all’università, le violenze della polizia, la disoccupazione. Ho alcuni amici convinti dal suo avversario democratico Bernie Sanders, ma il suo radicamento in uno Stato bianco come il Vermont lo danneggia presso la comunità nera che non lo conosce molto bene».
Il reverendo Tyler dichiara di sostenere Clinton a titolo personale: «Non predico per lei in Chiesa, ma la politica è indubbiamente un’estensione della mia fede personale. Nell’Ame riteniamo che i pastori abbiano il diritto di impegnarsi politicamente in quanto vivono nel mondo reale».
Che dire, infine, dei cattolici? «Le Chiese protestanti sono sempre state molto più libere di sostenere dei candidati rispetto ai cattolici», rileva Joshia Mercer, cofondatore della lobby conservatrice VoteCatholic. Nel corso dell’attuale campagna ben pochi di loro hanno infatti fatto sentire la propria voce. Una discrezione legata, secondo Mercer, all’“anticattolicesimo” che ha a lungo caratterizzato la storia degli Stati Uniti.
Per quanto riguarda i fedeli, «i cattolici bianchi votano in maggioranza repubblicano, soprattutto coloro che frequentano regolarmente la messa. In quanto agli ispanici, la cui popolazione è in rapida crescita, votano in gran parte per il partito democratico», alcuni mettendo da parte le loro riserve sulla questione dell’aborto.

Traduzione italiana: G. M. Schmitt / voceevangelica.ch

Foto: Gage Skidmore, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=17763607