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La sete del Tonga

Il 10 febbraio scorso il Network ecumenico dell’acqua, operante sotto l’egida del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec), ha aperto a Gerusalemme le «sette settimane per l’acqua»: un’occasione di riflessione teologica su giustizia e pace a partire dalle emergenze idriche vissute sul pianeta.

Nel corso di questa «Quaresima per l’acqua», oltre a essersi occupato di Medio Oriente e di Palestina, l’iniziativa promossa dal Cec ha acceso i riflettori su diverse zone remote del mondo, lontane dagli zampillanti rubinetti occidentali. Scopriamo così l’allarmante situazione idrica del regno di Tonga, uno degli innumerevoli stati insulari della Polinesia: un arcipelago di 173 isole circondate dal blu del Pacifico meridionale, ma i cui abitanti – più di centomila anime sparse su appena 748 chilometri quadrati – faticano a mettere l’acqua in tavola. In Tonga le piogge si alternano durante l’anno: tra ottobre e marzo, durante la stagione dei cicloni, le precipitazioni dovrebbero essere abbondanti. Ma non tutta l’acqua che si vede in Tonga si può bere. E nessuna delle isole del paese ospita fiumi o laghi.

La pastora Mele’ana Puloka, membra della Free Wesleyan Church, è dirigente scolastica per la Chiesa metodista del Tonga ed è presidente per il Pacifico del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec). Puloka è cresciuta in un periodo storico in cui la disponibilità d’acqua veniva data per scontata. «Ho vissuto in città per la maggior parte del tempo. Eravamo abituati all’acqua corrente, a non pensare a quanta ne utilizzavamo. Ma un giorno sono arrivata a casa e l’acqua era finita», ha denunciato Puloka da Betlemme, intervenendo alle «sette settimane per l’acqua». «Non posso più fare la doccia, devo lavarmi con parsimonia, utilizzando delle tazze. Solamente da allora ho capito che dobbiamo usare questa preziosa risorsa con attenzione e prudenza».

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, assicurare ai piccoli Stati insulari del Pacifico una regolare fornitura d’acqua potabile potrebbe diventare sempre più complicato. A causa della riduzione delle fonti d’acqua dolce, dovuta alla massiccia estrazione delle acque sotterranee, alle mutevoli condizioni meteorologiche e all’innalzamento del livello dei mari, questi paesi si trovano oggi ad affrontare «l’intrusione» dell’acqua salata nelle loro risorse d’acqua dolce. Per consentire alle comunità di monitorare il loro approvvigionamento d’acqua, il governo del Tonga sta attivando nei diversi villaggi un Water Safety Plan, un piano di valutazione del rischio atto a ridurre la contaminazione delle fonti d’acqua dolce.

Il problema idrico mina alla base l’economia nazionale, fatta di agricoltura (il Tonga esporta cocco, zucca, vaniglia, agrumi, banane, ananas) e turismo (centomila turisti stranieri visitano ogni anno le sue spiagge tropicali). Per quanto sia in crescita, l’economia del Regno figura duecentesima nella classifica della Banca Mondiale: per risolvere alla radice il problema idrico servono tecnologie che il Tonga da solo non si può permettere. «La distribuzione d’acqua può dipendere dalla ricchezza ed è per questo che l’acqua è una questione di giustizia, tanto a Tonga quanto in Palestina», ha ammonito Puloka, riprendendo il tema della campagna quaresimale del Cec sull’acqua.

In Tonga la vita quotidiana è fortemente influenzata dalle tradizioni polinesiane, ma su queste si innesta l’importanza della fede cristiana: il 60% dei tongani si professa di religione di cristiana (di questi solo il 16% è cattolico).

 Foto: Msdstefan da de.wikipedia.org, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=6256073