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Una legge che discrimina

Il Veneto, dopo la legge lombarda denominata in modo semplicistico “anti moschee” e poi bocciata dalla Corte costituzionale, ha proposto e votato proprio in questi giorni una legge “sull’edilizia di culto”. Ne parliamo con il giurista Roberto Zaccaria, coordinatore del progetto del “Gruppo di lavoro sulla libertà religiosa”, che dal 2013 elabora una proposta di legge sulla libertà di coscienza e di religione.

Di cosa si tratta e qual è il suo parere.
«Nei giorni scorsi i giornali hanno dato la notizia di una legge della Regione Veneto, approvata martedì 5 aprile, che modifica una precedente legge della stessa Regione in materia di governo del territorio (l.r. 11 del 2004 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio”). La legge è passata con il consenso della maggioranza ed è stata vivacemente contrastata dal PD e dal Movimento 5Stelle. Il testo della legge non è ufficialmente conosciuto e, tra l’altro, dovrà essere sottoposto al giudizio del Governo che ha sessanta giorni per esprimere le sue valutazioni, ai sensi del 1 comma dell’art.127 della Costituzione. Giudizio che difficilmente potrà essere positivo alla luce dei contenuti della sentenza della Corte costituzionale n.63 del 2016 pubblicata il 24 marzo scorso. Quel che conosciamo del suo contenuto si ricava da agenzie e da siti internet, ma è già abbastanza preoccupante. Il provvedimento si occupa dell’edificazione dei luoghi di culto e inserisce vincoli urbanistici, linguistici e l’ipotesi di un referendum per la realizzazione e l’attivazione di nuovi luoghi di culto. La legge riprende con alcuni marginali aggiustamenti alcune delle disposizioni già dichiarate incostituzionali o comunque esaminate nella sentenza della Corte costituzionale, appena citata, relativa a una legge della regione Lombardia di analogo tenore.
Una particolarità di questa legge consiste nel fatto di prevedere l’obbligatorietà dell’uso della lingua italiana per “tutte le attività svolte nelle attrezzature di interesse comune per servizi religiosi che non siano strettamente connesse alle pratiche rituali di culto”. Dubito che limitazioni di questo tipo siano ammissibili in una legge relativa alla disciplina del territorio e che rientrino nel competenza regionale. Dubito inoltre e più in generale che tutto questo sia compatibile con quanto affermato nella recente sentenza della Corte Costituzionale, secondo la quale “L’ordinamento repubblicano è contraddistinto dal principio di laicità, da intendersi, secondo l’accezione che la giurisprudenza costituzionale ne ha dato (sentenze n. 508 del 2000, n. 329 del 1997, n. 440 del 1995, n. 203 del 1989), non come indifferenza di fronte all’esperienza religiosa, bensì come salvaguardia della libertà di religione in regime di pluralismo confessionale e culturale: compito della Repubblica è «garantire le condizioni che favoriscano l’espansione della libertà di tutti e, in questo ambito, della libertà di religione», la quale «rappresenta un aspetto della dignità della persona umana, riconosciuta e dichiarata inviolabile dall’art. 2 della Costituzione (sentenza n. 334 del 1996)».

Tra le norme di questa legge ve ne è una che impone che i luoghi di culto possano essere aperti solo in aree periferiche ai centri abitati, zone genericamente destinate a “infrastrutture”.
«Anche su questo punto la risposta è data alla luce delle informazioni non ufficiali dalle quali risulta che la nuova legge inserirebbe i luoghi di culto nelle “aree F”, destinate a infrastrutture e impianti di interesse pubblico, che  in genere di trovano nelle periferie” Si aggiunge che chi vuole costruirli deve garantire anche le relative opere di urbanizzazione: parcheggi, strade, reti elettriche e fognarie e così via, e stipulare una convenzione con il Comune. 
Mi risulta che ci siano state osservazioni critiche su questo punto da parte degli esponenti dei partiti di opposizione. Io vorrei solo far rilevare che disposizioni di questo tipo appaiono discriminatorie e quindi incompatibili con i principi costituzionali in tema di libertà religiosa».

Questa legge, come quella lombarda, penalizza tutte le comunità di fede, compresa la cattolica?
«Ho appena detto che in materia di edilizia religiosa non sono ammissibili norme che differenzino il trattamento delle diverse confessioni. Anche su questo punto sono significative le parole della Corte nella recente sentenza 33/16: “in materia di libertà religiosa, la giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che «il legislatore non può operare discriminazioni tra confessioni religiose in base alla sola circostanza che esse abbiano o non abbiano regolato i loro rapporti con lo Stato tramite accordi o intese (sentenze n. 346 del 2002 e n. 195 del 1993)» (sentenza n. 52 del 2016). Di conseguenza, quando tale libertà e il suo esercizio vengono in rilievo, la tutela giuridica deve abbracciare allo stesso modo l’esperienza religiosa di tutti, nella sua dimensione individuale e comunitaria, indipendentemente dai diversi contenuti di fede; né in senso contrario varrebbero considerazioni in merito alla diffusione delle diverse confessioni, giacché la condizione di minoranza di alcune confessioni non può giustificare un minor livello di protezione della loro libertà religiosa rispetto a quella delle confessioni più diffuse (sentenza n. 329 del 1997). Secondo la legge veneta, le nuove regole non si applicherebbero agli edifici esistenti, che potranno aumentare la loro superficie fino al 30% purché siano destinati al culto, alle abitazioni dei ministri di culto o ad attività educative, culturali, ricreative. Una clausola che sembra salvare le chiese cattoliche e forse non solo cattoliche. Nessuna deroga, invece, viene invece fatta per le “sedi di associazioni, società o comunità di persone le cui finalità aggregative siano da ricondurre alla religione, all’esercizio del culto o alla professione religiosa, quali sale di preghiera, scuole di religione o centri culturali”. E da queste parole si ricaverebbe una diversità di trattamento tra confessioni ed associazioni di varia natura religiosa o non».

Una legge quadro sulla libertà religiosa in Italia potrebbe porre fine, con regole generali per tutto il territorio italiano, a regolamenti e leggi di iniziativa regionale?
«Certo anche da questo punto di vista una legge generale sulla libertà religiosa sarebbe estremamente utile perché toglierebbe spazio ad iniziative disordinate e, in alcuni casi, addirittura incostituzionali delle Regioni o degli enti locali.
Si tratterebbe preliminarmente di precisare che la disponibilità di luoghi o edifici di culto è tutelata come condizione essenziale per l’esercizio della libertà di culto garantita a tutti dalla Costituzione. Un’altra garanzia che andrebbe posta è quella secondo la quale gli enti territoriali competenti, attraverso gli strumenti urbanistici, devono assicurare la previsione di spazi e strutture da destinare all’esercizio pubblico del culto nel rispetto del pluralismo religioso e tenendo conto delle specifiche esigenze religiose della popolazione. Ed infine si dovrebbe aggiungere che il perseguimento del fine di religione o di culto non può costituire motivo di preclusione al mutamento della destinazione d’uso di edifici già esistenti, nel rispetto degli strumenti urbanistici vigenti e della normativa in tema di igiene e sicurezza. Questo significa che qualsiasi restrizione sugli spazi destinati agli edifici di culto non possa essere adottata nei confronti di singole confessioni perché questo sarebbe assolutamente in contrasto con i nostri principi costituzionali».

Foto Pietro Romeo