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Una speranza non per tutti non è una speranza cristiana

Il 6 aprile scorso il pastore Olav Fykse Tveit, Segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec), è intervenuto dal pulpito della cattedrale di York, nel Regno Unito, nell’ambito di un ciclo di conferenze dedicate ai settant’anni delle Nazioni Unite. Titolo della rassegna: Global Security and the United Nations: 70 years on.

Nel suo discorso, intitolato «Cec e Onu, eredità e sfide comuni» (il cui testo integrale in inglese è disponibile a questo link), il pastore Tveit ha messo in luce le radici comuni delle due organizzazioni, nate dalle ceneri della Seconda guerra mondiale – «La ricerca della pace e della giustizia è parte integrante della missione del Cec sin dalla sua fondazione» – e si è interrogato sulle sfide cui entrambe, insieme, dovranno saper fare fronte.

Durante il processo che ne ha consolidato la formazione, sia il Cec che l’Onu hanno dovuto confrontarsi con la realtà della guerra e con le sue conseguenze, genocidi, crimini umanitari, migrazioni di massa: «I settant’anni appena trascorsi hanno messo a dura prova il nostro tentativo di fratellanza delle chiese, la credibilità della nostra testimonianza sull’universalità della chiesa di Cristo in un mondo diviso, sul comune progetto di Dio per l’umanità e per il creato». Tuttavia, nonostante tutte le difficoltà, «oggi il Cec continua a giocare un ruolo di primo piano nella promozione del rispetto dei diritti umani, sia sul piano nazionale che su quello internazionale; coopera regolarmente con le Nazioni Unite, con organizzazioni regionali e altre organizzazioni non governative che si dedicano alla causa dei diritti umani».

Giungendo al cuore della sua argomentazione, il pastore Tveit ha affermato che «le comunità di fede sono, in buona sostanza, comunità di fiducia e di speranza» e che «il nostro messaggio caratteristico, il nostro contributo deve riflettere questo». La speranza, nella definizione fornita da Tveit, è «una qualità che definisce la fede». Ciò detto, «la vera speranza non è mai solo per me o per la mia sola comunità, ma è ancorata nella trasformazione, ha implicazioni universali. Di conseguenza, ritengo che una speranza non per tutti non sia una vera speranza, non sia una speranza cristiana. Condizione necessaria per la speranza è quella di esprimersi in amore per l’altro, chiunque sia e ovunque si trovi».

Concludendo il suo intervento, il segretario del Cec ha ribadito le ragioni dell’adesione del movimento ecumenico ai principi e agli intenti delle Nazioni Unite, non senza richiamare la madre di tutte le organizzazioni internazionali del pianeta alle proprie radici e responsabilità storiche. «Sulla solida base dei nostri principi e di nostri impegni di fede, possiamo aderire alle Nazioni Unite riconoscendone la nostra comune eredità e traiettoria, per affrontare le difficili sfide che abbiamo davanti. Insieme lavoriamo per la realizzazione di società giuste, pacifiche e inclusive. Ed è per questo che ci richiamiamo l’un l’altro a proseguire questo pellegrinaggio di giustizia e pace, per tutti».

Foto copertina: WCC