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Che sarà dopo di noi?

La Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva il disegno di legge definito “dopo di noi” che si occupa del futuro delle persone con disabilità gravi che restano senza sostegno familiare. Il disegno di legge è stato approvato con i voti contrari del Movimento 5 Stelle che sostiene che il testo favorisca le assicurazioni, e con l’astensione di Sinistra italiana. Le legge colma un vuoto e cerca di evitare l’accanimento sanitario dei casi più gravi di disabilità nel momento in cui vengono a mancare i tutori, consentendo loro di continuare a vivere come desiderano o come hanno fatto fino a quel momento in famiglia. Il testo disciplina i livelli essenziali delle prestazioni garantendoli in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, istituisce un fondo per l’assistenza e definisce che le risorse vanno trovate con la partecipazione di regioni, enti locali, organismi del terzo settore e privati. Oltre a definire le detrazioni fiscali e campagne informative specifiche, la legge istituzionalizza le case famiglia per disabili e i programmi per sviluppare l’autonomia delle persone. Ne abbiamo parlato con Emilio Rota, presidente della Fondazione Dopo di noi (ramo dell’Anfass Onlus, l’Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità), che dagli anni 80 si occupa di sensibilizzare su questo tema.

Una valutazione?
«Da tempo seguivamo i lavori di questa proposta di legge, ed era da anni che aspettavamo una risoluzione di questo genere: quello del “dopo di noi” è un problema lancinante che colpisce le famiglie soprattutto nel momento in cui diventano più deboli e più fragili. La nostra esperienza maturata negli anni ci ha portato a suggerire ai politici che il dopo non poteva essere qualcosa di scollegato dal durante. La famiglia deve porsi il problema con sufficiente anticipo. La vita di una persona con disabilità condiziona la famiglia, l’economia del nucleo: la maggior parte delle nostre mamme perdono il lavoro, non possono continuare a fare le attività di prima e spesso si sentono un po’ agli arresti domiciliari, sono situazioni complesse. Lo spirito è quello di mettere le famiglie nelle condizioni di ritornare a poter fare delle scelte: fino ad ora l’unica scelta per una persona adulta con disabilità alla quale mancava il sostegno familiare era una residenzialità protetta che non sempre corrispondeva con i bisogni e desideri, propri e della famiglia. Speriamo che questa legge possa rimettere al centro la vita della persona con disabilità. La persona è al centro è può essere anche ammalata, ma non è un malato. È una persona, come le altre, anche se ha bisogno di essere accompagnata e sostenuta. Se siamo in grado di ascoltarle, riusciamo a fare un passo di civiltà.».

Non c’è stata unanimità a livello politico, perché secondo lei?
«Chi non l’ha votata ha perso un’occasione, perché prima di tutto è una legge voluta dalle associazioni che lavorano con i disabili. A proposito dell’assicurazione [elemento contestato dal M5S, ndr], noi l’abbiamo chiesta perché è l’unico strumento che può dare una garanzia di futuro economico alle famiglie, senza rischi. Molte volte nell’intento di creare un futuro economico ai loro figli, le famiglie hanno perso il frutto dei loro sacrifici. Lo strumento assicurativo per il quale noi ci stiamo muovendo, che sia valido e garantito, è la modalità per permettere a una famiglia di accumulare un risparmio e avere un vitalizio. Con questo non vogliamo dire che lo Stato si debba disinteressare, ma vogliamo garantire una qualità aggiuntiva alle famiglie delle persone con disabilità. L’altro aspetto contestato è stato quello degli istituti giuridici di protezione: ma anche qui dobbiamo dire alle famiglie quali sono gli strumenti utili. La critica che ci viene mossa è di voler agire su livelli che normalmente non entrano in una legge, ma è fondamentale che lo facciano, in modo che ci sia una rosa di contenuti che permetta ai familiari di orientarsi».

Cosa manca nella legge?
«Come al solito i fondi non sono sufficienti, però manca ancora di più l’applicazione nelle varie regioni. Ora la palla passa agli enti locali e ci dovrà essere molta attenzione perché in Italia i sistemi sociosanitari siano equiparati. Lo spirito della legge non dev’essere diluito o non applicato. L’ideale sarebbe una sua applicazione totale e complessiva su tutto il territorio. Ci sono situazioni in cui i criteri di cui parliamo sono già stati applicati prima della legge. Per esempio abbiamo realtà di microcomunità dove tutto viene agito attraverso un progetto personalizzato, secondo la legge 328/00. Con tempi diversi, ma stiamo arrivando a rimettere la persona al centro: tutto il supporto e il sostegno necessari con un progetto adatto ad ognuno, nelle diverse stagioni della vita».

Immagine: via pixabay.com