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Elezioni. Roma “raggiante”, specchio d’Italia?

I ballottaggi delle elezioni amministrative 2016 hanno segnato la vittoria del Movimento 5 Stelle, che con Virginia Raggi ha conquistato anche la Capitale. A Roma, negli anni, c’è sempre stata alternanza tra le forze politiche, seppur con una prevalenza di governo del centrosinistra.

Il risultato romano è certamente il più eclatante e ben riassume ciò che è avvenuto in Italia con 19 comuni su venti conquistati dai pentastellati, Milano a parte.

«Hanno vinto i romani – ha detto la neosindaca – Voglio ringraziare tutti coloro che mi hanno affidato questo compito. Grazie. È un momento storico, una svolta», queste sono state appunto le prime parole della sindaca Virginia Raggi pronunciate dopo aver ricevuto i dati certi: 67% delle preferenze con 770.564 voti, pari al 67,15%: più del doppio dei voti dello sfidante Roberto Giachetti che è arrivato a 376.935, pari al 32,85%. Questi i dati definitivi (delle 2600 sezioni) e pubblicati sul sito del Comune di Roma. Al primo turno la forbice non era stata così netta: Raggi era arrivata al 35,25%, Giachetti al 24,87%.

Nata a Roma 37 anni fa, cresciuta nel quartiere San Giovanni-Appio Latino, diplomata al liceo scientifico Isacco Newton, Virginia Raggi si è presentata agli elettori sul sito movimentocinquestelle.it in modo confidenziale: «Oggi vivo nella borgata Ottavia, sulla Trionfale, insieme a mio figlio Matteo. […] sono avvocato civilista […] negli anni ho approfondito materie quali il diritto civile, giudiziale e stragiudiziale. La mia passione per le nuove tecnologie mi ha portata ad occuparmi in particolare di diritto d’autore e di proprietà intellettuale. Nel 2013 sono stata eletta portavoce Consigliere Capitolino […] Dopo aver vinto le primarie sul blog di Beppe Grillo, sono stata nominata candidato sindaco del Movimento Cinque Stelle per Roma […]».

Un’elezione significativa anche per il governo: «un elemento nazionale molto forte», ha rilevato il presidente del Consiglio, sottolineando il fatto che non si è trattato di un voto di protesta ma bensì «di cambiamento».

Davvero ha vinto chi ha saputo interpretare meglio «quell’ansia del cambiamento», come sostenuto dal premier Matteo Renzi?

«È stato un voto triangolare che vuole esprimere tre messaggi chiari – ha rilevato Paolo Naso, valdese e docente alla Sapienza – Università di Roma – e in un certo senso prevedibili. In primo luogo che l’ondata di critica al sistema dei partiti tradizionali, alle loro gerarchie e alle loro liturgie non è affatto esaurita. Piacciono i volti nuovi, freschi, politicamente leggeri mentre insospettiscono quelli espressi dagli apparati, anche quando hanno il profilo alto e nobile di un politico di rango come Fassino. In questo clima culturale, prima ancora che politico, abituiamoci a considerare l’appeal elettorale di candidati “nuovi”, magari improbabili e apparentemente inadeguati ma pronti a rappresentare il “nuovo che avanza”. Il secondo lato del triangolo – ha proseguito Naso – è un messaggio al presidente del Consiglio che, dopo il successo alle europee, deve fare i conti con un lacerazione del suo partito e con una coalizione d’opposizione che mina alla base il suo ambizioso obiettivo di costruire li “partito della nazione”. Prevedibile anche questo perché l’Italia non è paese “maggioritario” ma naturalmente e intimamente proporzionalista, in cui alla forza della Grosse Koalition si preferisce la faticosa mediazione tra partiti ed apparati». «È la fragilità del sistema Italia, unita a fatica e mai coesa, che riemerge e mette a rischio progetto di riforme renziano. Il terzo lato del triangolo – ha concluso Naso – è la crisi del centro-destra che abbiamo conosciuto nell’ultimo ventennio: ormai esaurita la forza federativa di Berlusconi e perseguendo il modello lepenista, il centro – destra si riplasma in chiave xenofoba e nazionalista.  Insomma un voto importante, non definitivo né cristallizzato, che però lascia tracce pesanti».

La Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) e la Tavola valdese attraverso la Commissione sinodale per la diaconia (Csd) da molto tempo si muovono nel campo dell’accoglienza a rifugiati e richiedenti asilo; su temi legati al dialogo interreligioso ed ecumenico e per far approvare in Italia una legge quadro sulla libertà religiosa. «Come protestanti è giusto chiedersi come le nuove giunte opereranno su materie per noi rilevanti quali l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati, l’edilizia di culto, il pluralismo religioso, la laicità degli spazi pubblici,  insomma sulle questioni che con altre concorrono alla promozione della coesione sociale – ha proseguito Naso – A questo riguardo la grande incognita tocca proprio città come Roma e Torino, e cioè dove più clamorosa è stata la vittoria del Movimento 5 stelle. I “grillini” parlano in libertà, spesso smentiti dal direttorio di turno, alternando parole di apertura a un modello di società interculturale e pluralista a un discorso di chiusura xenofobica che poco ha da invidiare a quelli della Lega nord. Qualcuno pensa che col tempo le onde burrascose del movimentismo dei “5 stelle” si calmeranno e il loro discorso si farà ponderato e omogeneo. Può darsi, ed è un cambiamento possibile e per quel che ci riguarda auspicabile ma sarebbe una mutazione genetica rispetto al populismo praticato e rivendicato oggi. Perché questo è l’elemento che lo caratterizza: la pretesa di rappresentare quel “popolo” che però non esiste come soggetto politico omogeneo e cosciente. “Popolo” è tanto il volontario che dedica il suo tempo ai migranti, che il militante nazionalista che minaccia chi gestisce i centri di accoglienza». «Salvo che – ha concluso Naso – per “popolo” non si intenda il circuito settario e opaco della “rete”. Ma allora erano più democratici e popolari i solidi, vecchi partiti in via di rottamazione».