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Monache buddiste in bicicletta

Tra le montagne della catena himalayana tra Nepal e India si sono viste sfrecciare centinaia di biciclette guidate da ciclisti in pantaloni attillati neri, magliette rosse e caschi bianchi. A pedalare non erano ciclisti professionisti ma monache buddiste appartenenti all’ordine Drukpa, una delle scuole “moderne” del buddismo tibetano. In circa 500 sono partire a luglio scorso da Kathmandu (Nepal), e la loro destinazione finale è la città di Leh, nella parte settentrionale dell’India: un percorso di oltre 4.000 km. Scopo di questo tour in montagna: promuovere l’eguaglianza di genere e sensibilizzare le popolazioni delle regioni più remote sulla tratta degli esseri umani.

A spingere all’azione le monache sono state in particolare alcune conseguenze del terremoto che ha colpito il Nepal nei mesi di aprile e maggio 2015, che ha ucciso quasi 9.000 persone, e ha lasciato centinaia di migliaia di famiglie senza casa e senza alcun reddito, esponendo soprattutto donne e bambini alla tratta.

Mentre svolgevano lavoro di soccorso in Nepal le monache hanno raccolto diverse testimonianze riguardanti ragazze, provenienti da famiglie povere, che erano state vendute perché i loro genitori non potevano più permettersi di mantenerle. Molte lavoravano come schiave in case cittadine, ristoranti, negozi e alberghi, molte altre erano state costrette a prostituirsi nei bordelli.

Per contrastare la cultura secondo la quale le ragazze hanno meno valore dei ragazzi e possono essere merce da vendere, le monache hanno deciso di avviare questo tour in bicicletta per mostrare che le donne hanno la stessa potenza e forza degli uomini.

Nonostante in Asia del Sud siano nate diverse tradizioni che venerano la maternità e celebrano divinità femminili, molte ragazze e donne vivono la costante minaccia di essere vittime di violenza e sono prive di molti diritti fondamentali. Dai delitti d’onore in Pakistan al feticidio in India, fino ai matrimoni delle bambine in Nepal, le donne sono esposte alla violenza, anche se la crescente sensibilizzazione e miglioramenti nelle legislazioni stanno portando a un lento cambiamento della cultura.

Nei loro viaggi le monache oltre alle popolazioni locali incontrano funzionari governativi e leader religiosi per promuovere l’uguaglianza di genere, la coesistenza pacifica e il rispetto per l’ambiente. Durante le soste in villaggi remoti, le monache guidano le preghiere e impartiscono lezioni sulla pace e il rispetto, la diversità e la tolleranza; monitorano l’accesso a istruzione, cure sanitarie, partecipazione politica delle donne; spiegano i rischi che le famiglie corrono nel dare ascolto alle bugie dei trafficanti di esseri umani; illustrano i rischi del disgelo dei ghiacciai dell’Himalaya, dovuto all’inquinamento, e suggeriscono stili di vita alternativi.

Nel corso degli ultimi 12 anni il numero delle monache Drukpa è notevolmente cresciuto in gran parte a causa del carisma del capo del loro ordine, Gyalwang Drukpa, che è diventato un convinto sostenitore dei diritti delle donne.

Tradizionalmente le monache buddiste erano relegate a compiti di pulizia e cucina, ma Gyalwang Drukpa le ha incoraggiate a studiare gli stessi testi dei maschi e, per rinforzare la loro autostima e la autodifesa, ha ingaggiato un istruttore che insegnasse loro il kung-fu (bandito alle monache), tanto da essere soprannominate le «monache Kung Fu».

Scardinando l’idea che compito delle monache è quello di rimanere nei templi a pregare per tutto il tempo, queste donne hanno compreso che pregare non era sufficiente, ma che bisognava mettersi in viaggio e realizzare concretamente le parole predicate e pregate.

Immagine: via istockphoto.com