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La memoria che segna il presente

Fonte Nev/Riforma

Commemorare i morti e restituire dignità ai vivi: questo il senso della presenza della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) a Lampedusa ieri, 3 ottobre, giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione, istituita con una legge voluta dal Parlamento e promulgata dal presidente della Repubblica il 21 marzo 2016.

«Il nostro progetto sulle migrazioni ‘Mediterranean Hope’ nasce proprio qui 3 anni fa», ha ricordato Luca Maria Negro, presidente Fcei, in una conferenza stampa svoltasi sull’isola dal titolo: “No alle morti in mare – sì ai corridoi umanitari”. «E l’idea di istituire dei corridoi umanitari come li conosciamo oggi, che hanno portato per vie legali e sicure già 300 profughi siriani in Italia, è nata qui, scrutando il mare», ha proseguito Negro, sottolineando il carattere ecumenico del progetto pilota, portato avanti sin dai primi mesi di quest’anno insieme alla Tavola valdese e alla Comunità di Sant’Egidio.

«Il 3 ottobre 2016, da Lampedusa, vogliamo lanciare due appelli – ha aggiunto Paolo Naso, coordinatore di “Mediterranean Hope” – Al governo italiano chiediamo di aumentare la quota di mille persone fissata dal protocollo d’Intesa tra i ministeri dell’Interno e degli Esteri e i promotori del progetto. Insieme abbiamo dimostrato che è possibile, insieme dobbiamo andare avanti. Invece, ai nostri partner ecumenici internazionali, alle chiese sorelle, agli altri paesi europei, diciamo: fatelo anche voi».

A Lampedusa per l’occasione sono giunti dall’Olanda, dalla Spegna, dalla Germania, dal Regno Unito e dagli Stati Uniti diversi esponenti di chiese ed organismi ecumenici, che insieme hanno sottoscritto una dichiarazione d’intenti in cui si legge: «Siamo qui per affermare che esistono alternative alle morti in mare e si chiamano corridoi umanitari; si chiamano passaggi sicuri e legali dal Nord Africa verso l’Europa».

Nel pomeriggio si è svolta per il terzo anno consecutivo una celebrazione ecumenica in memoria delle vittime del mare e di tutte le vittime dell’immigrazione. Co-promossa dalla parrocchia di San Gerlando, dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia e dalla Comunità di Sant’Egidio – era presieduta dal parroco dell’isola don Mimmo Zambito e dal pastore Luca Maria Negro. Nel corso della liturgia è intervenuto anche il sacerdote eritreo don Mussie Zerai. Presenti nella chiesa di Lampedusa gremita per l’occasione anche una coppia di rifugiati siriani giunti il 16 giugno in Italia con un regolare volo di linea da Beirut, grazie al progetto ecumenico dei #corriodiumanitari, e la sindaca di Lampedusa Giusi Nicolini.

Nel corso della celebrazione è stata letta la dichiarazione d’intenti sottoscritta dai partner ecumenici presenti a Lampedusa: «Oggi in quest’isola, in questa chiesa e con rinnovato spirito ecumenico e interreligioso – si legge nel testo – ci impegniamo a lanciare un nuovo appello alla comunità internazionale, alle leadership europee e mondiali, alle nostre sorelle e ai nostri fratelli ancora indifferenti o esitanti di fronte alle sofferenze dei migranti e dei profughi. Siamo qui per chiedere nuove politiche migratorie affinché i nostri governi e le istituzioni europee adottino politiche di accoglienza che mettano fine alle stragi di immigrazione; alla brutalità del traffico umano; all’angoscia e alla paura di migliaia di persone che fuggono disperate da persecuzioni, guerre, violenze e fame».

«La cerimonia era incentrata sul testo di Giosuè, capitolo 4, dove si riporta una consuetudine liturgica di Israele: dodici pietre vengono prese dal Giordano e messe nel santuario per ricordare il passaggio sicuro del Giordano, che a sua volta si ispira ad un altro passaggio, quello del Mar Rosso; al contempo le pietre prefigurano il ritorno del popolo di Israele dall’esilio», ha spiegato il pastore Luca Negro, che ha curato la liturgia della celebrazione religiosa. «Ai piedi dell’altare abbiamo quindi messo dodici pietre e abbiamo concluso il culto con un gesto simbolico – ha proseguito Negro – fuori dalla chiesa, l’operatore di Mediterranen Hope Francesco Piobbichi aveva disegnato per terra il percorso del migrante, dalla partenza dalle città distrutte alla traversata del deserto fino al mare, rappresentato come un groviglio di filo spinato; disegno poi coperto da un lenzuolo bianco su cui sono state poste queste 12 pietre, a simboleggiare il passaggio sicuro». Le 12 pietre sono diventate il corridoio umanitario che porta in salvo i rifugiati, ricordo delle liberazioni passate e prefigurazione di quelle future, «possibili – ha concluso Negro – se noi ci lasciamo usare come strumenti di Dio, che è colui che opera liberazioni non costruendo barriere ma erigendo ponti».

Tutti i partecipanti alla cerimonia, più di trecento persone, sono quindi passati sulla passerella improvvisata, ritrovandosi poi in un grande cerchio, per ricordare le vittime del 3 ottobre ma anche per dire che una via d’uscita è possibile.

Immagine di Francesco Piobbichi