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Help. L’arte come denuncia

L’arte in quanto azione è sempre politica, e in questo caso è vero più che mai. Maria Cristina Finucci, comincia la sua carriera come architetto per poi spaziare nell’esplorazione di varie tecniche artistiche, tutte convergenti verso il progetto Wasteland.

Quella che è installata a Mozia, sull’isola di San Pantaleo in Sicilia, è invece un intervento di land art che compone la parola help, un messaggio per richiamare l’attenzione su un tema più grande di cui lei si occupa da tempo: quello dell’inquinamento ambientale.

Com’è costruita l’opera e qual’è il suo scopo?

«È costituita da una grande quantità di gabbioni di metallo, quelli che di solito sono riempiti di pietre e delimitano, per esempio, i bordi delle strade, io invece li ho riempiti di tappi e di plastica riciclata; materiale raccolto con una campagna ad hoc dall’università di Palermo e l’Università Roma Tre. Sono 5 milioni di tappi che occupano una superficie di 3600 m quadri.

Questa è una delle tappe di un’opera più grande che si chiama Wasteland che ho cominciato nel 2013 con la dichiarazione della nascita di un nuovo stato: lo stato delle isole di plastica nel mare. Si chiama the Garbage Patch State.

In mare ci sono soprattutto cinque grandi chiazze che corrispondo a cinque correnti marine che sono state scoperte da poco: correnti circolari tipo mulinelli molto lenti che lambendo le coste portano con se, trasportandola al suo interno, tutta la plastica che trovano durante il loro tragitto. La superficie totale di queste cinque isole è stimata 16 milioni di km quadrati, tanto da giustificare la mia rivendicazione di stato. Si tratta di una superficie grande quasi quanto la Russia e nessuno aveva mai pensato di piantarci la bandiera, cosa che ho fatto all’Unesco l’11 aprile del 2013. Ho installato un’opera enorme che simulava una di queste isole di plastica e davanti alla direttrice generale dell’Unesco e l’ambasciatore italiano ho piantato la bandiera, ho pronunciato il discorso di insediamento dello stato e da allora questo stato è come qualsiasi altro».

Vista la sua sensibilità a questo tema come può descrivere la reazione delle istituzioni di fronte a questo gesto?

«Chi ha reagito in maniera impressionante è stata la stampa: subito dopo questa dichiarazione ci sono state reazioni in tutti il mondo. Le istituzioni e molti ministeri italiani, come quello dell’ambiente, della pubblica istruzione, mi hanno commissionato altre opere e mi hanno seguita. All’estero non so se ci sono state reazioni.

Devo dire che quattro anni fa si parlava veramente poco di questo problema, adesso è alla ribalta, vedo che sui giornali se ne parla molto spesso. Non dico che sia merito mio ma un piccolo contributo anche il Garbage Patch State lo ha fornito. L’opera Help si inserisce in questo percorso ed è visibile fino all’8 gennaio 2017 però ci saranno altre sorprese. Organizzeremo un raduno con la presenza di circa cinquecento persone, durante la sera, quando l’opera è illuminata, grideremo tutti insieme help. Un grido che registreremo e manderemo on line e distribuiremo attraverso vari canali».

Secondo lei ci deve essere sempre un’ideologia dietro un’opera artistica?

«Assolutamente. Io non abbraccio l’arte autoreferenziale. L’arte, soprattutto quella contemporanea, ai nostri giorni è un veicolo potente e trasversale; a me piace utilizzarla per scopi sociali.

Penso che in generale sarebbe bene che l’arte si mettesse al servizio dei grandi temi che affliggono il nostro pianeta».

Immagine: via https://www.facebook.com/garbagepatchstate/