impressioni

Ragioni e sentimenti nelle chiese battiste d’Italia

In chiusura della 44a Assemblea generale dell’Ucebi, incontriamo alcuni partecipanti per chiedere le loro impressioni a caldo sull’esperienza appena vissuta. Sono complessivamente positive, sia da parte di chi, come Claudia Breci, giovanissima delegata di Lentini (Sr) partecipava per la prima volta, e ha sottolineato l’atmosfera piacevole, il potersi ritrovare e conoscere molte persone e realtà nuove: «mi piace capire che cosa succede all’interno delle chiese, ho visto come si muove l’Ucebi e che cosa sta cercando di fare, anche se a volte ho perso un po’ il filo della discussione, e mi sono sentita un po’ a disagio nel dover votare delle decisioni».

Ne ha avuto un’impressione positiva anche chi partecipa alle assemblee da più tempo. Anche se, come sottolinea Stefano Mollica, delegato della chiesa di Roma-Garbatella, «l’unico grosso rammarico sono i tempi troppo serrati (che non consentono un confronto adeguato su alcuni temi che necessiterebbero di un dibattito più approfondito) e i gruppi tematici simultanei, che costringono il delegato a scegliere su quale tema confrontarsi».

Tre sono stati gli argomenti più approfonditi, che poi hanno costituito la parte principale della Mozione programmatica approvata dall’assemblea: l’interculturalità (oggetto anche del dibattito di sabato), la diaconia e l’otto per mille, i 60 anni dell’Ucebi. Quest’ultimo tema ha fornito lo spunto per una più ampia riflessione sulla storia e sull’identità, soprattutto nel contesto in profondo mutamento degli ultimi anni.

Ne ricostruisce il percorso il pastore emerito Emmanuele Paschetto di Torino, invitato a questa sessione proprio per l’importante anniversario. Dalla prima assemblea cui ha partecipato nel 1969, ci sono stati molti cambiamenti: «i tempi cambiano, le generazioni si alternano, è normale che sia così: però ci sono alcune cose che mi preoccupano», spiega. «Ho vissuto nella mia giovinezza l’ultimo periodo di un fondamentalismo e di un pietismo un po’ troppo ripiegato su se stesso, sul proprio comportamento individuale, non vorrei che questo tipo di predicazione riaffiorasse, che si desse troppo peso alla “conversione”, se questa conversione è un continuo rimuginare su se stessi che non si traduce in un’azione all’esterno, in una testimonianza, contributo nel mondo».

Secondo il pastore Paschetto un fattore da considerare in questo momento è la collaborazione con la Junta de Missoes Mundiais del Brasile: «Il battismo in Brasile è molto forte, con una predicazione che pensavamo fosse superata, e invece assistiamo al suo ritorno. Mi domando: è perché a un periodo ne succede un altro che sembra tornare sui suoi passi e capovolgere tutto, e questa è una terza fase, dopo una tesi, un’antitesi e un tentativo di sintesi, o è un arretramento?». Per il futuro la sfida è grande, aggiunge Paschetto: «Dobbiamo superare la questione del noi e del voi: lo si può fare solo parlandosi, ma non lo facciamo, se non ognuno per difendere la sua posizione. Spero che questa difficoltà si superi, il problema è che le nostre chiese storiche sono in crisi, almeno due generazioni sono assenti. Spero che la nuova generazione sappia affrontare e risolvere questi nodi. Secondo me questa Assemblea segna una svolta importante: cambieranno idee e prospettive, io spero che non si torni alla mentalità degli anni ‘50…»

Del rapporto con le chiese della Junta abbiamo parlato anche con Ana Rosa Pereira, pastora nei ruoli dell’Ucebi a Gravina di Puglia, di origine brasiliana ma da quasi trent’anni in Italia.

«Non sono d’accordo con nessuna posizione estremista: né i progressismi che “spingono” oltre. Allo stesso modo non abbraccio una posizione fondamentalista; capisco però che per uscire da queste “nicchie” ci vuole un percorso che le chiese italiane hanno già fatto in gran parte (ma non tutte! E non da molti anni, se pensiamo al ruolo delle donne). Ci sono cose positive da prendere da entrambe le parti: la freschezza dell’Evangelo, un metodo diretto, che facilita il primo approccio con le persone, una maggiore empatia, una fede molto salda…».

Il tema è stato affrontato in Assemblea, e questo è positivo, ma non basta, prosegue Pereira: «Interculturalità e pluralismo significa che c’è contaminazione fra due culture, invece penso che non si faccia ancora molto, che si pretenda ancora che sia l’altro a “indossare le nostre scarpe”, senza volerlo ascoltare né discutere con lui, nell’idea che l’altro abbia una teologia o una cultura da noi superata. Se continuiamo ad avere questa impostazione non potremo avere una società pluralista». Il parere sull’assemblea è comunque molto positivo: «Ho visto una maturità di pensiero, nel dialogo, nella capacità di dire le cose considerando l’altro come un fratello, una sorella».

Un’impressione confermata da uno dei due pastori in prova, Luca Reina, pastore nelle chiese di Matera e Miglionico: «Ho apprezzato l’aria più serena rispetto alla scorsa sessione, significa che siamo una chiesa in crescita, i lavori procedono con il sorriso sulle labbra e questo mi fa piacere. Sulla multiculturalità, tema del mio sermone di questa mattina [ieri mattina, lunedì 31 ottobre, nda], posso dire che l’Ucebi è sempre stata questa, fin dalle sue origini come missione americana: ho pregato che il Signore ci possa fare capire quanto sia importante non eliminare le differenze ma valorizzarle».

Partecipando al gruppo di lavoro sull’otto per mille, valuta positivamente il percorso di questi due anni e commenta: «Bisogna investire prima di raccogliere, non dobbiamo avere paura di spendere anche molto di quanto entrerà per fare conoscere quello che siamo e che vogliamo fare con questi soldi, che arriveranno sempre più, ne sono convinto. La sfida è fidarsi: abbiamo una bella storia, una bella unione, dobbiamo farla conoscere e gli altri ci sosterranno. Spero che l’Unione possa esplodere di temerarietà e di desiderio di uscire e scommettere ancora più di quanto abbia fatto finora; il presidente Volpe non ha solo risanato i conti, ha dato un nuovo volto all’Unione, la sfida è raccogliere questo nuovo volto, ornarlo… c’è chi ha seminato, adesso gli altri annaffino e poi qualcun altro dovrà raccogliere…».

Le attese sul tema della diaconia e dell’otto per mille erano alte, conferma Stefano Mollica, che è anche membro della Commissione che ha seguito l’ultima campagna pubblicitaria: «Quest’anno la campagna è stata realizzata con forze più interne alla chiesa, quindi con mezzi più ridotti (economicamente ma non professionalmente) per fare emergere un’immagine più diretta e reale della nostra chiesa. Il risultato è stato molto positivo, ma ciò che mi sembra urgente è che l’otto per mille sia un aiuto, uno strumento concreto per le chiese attraverso la diaconia comunitaria, ma occorre che questi progetti siano ponderati e studiati attentamente. Questa è la sfida più grande».

La parola comune a tutti sembra dunque essere proprio questa: sfida, una parola che suona simile non a sfiducia ma al suo opposto: con l’idea di andare avanti, nonostante i timori e le incomprensioni, nella certezza di non essere mai soli in questo percorso.

Foto Pietro Romeo