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Fidel Castro e lo spirito ribelle della Riforma

«Naïf ma non necessariamente comunista». Delle due l’una: o Richard Nixon non aveva fiuto politico (e le alterne vicende successive potrebbero anche corroborare l’ipotesi) o Fidel Castro non doveva avergli fatto l’impressione di un tirannico oppressore. E pensare che l’allora vice presidente degli Stati Uniti d’America, siamo nel 1959, aveva una solida formazione puritana, quacchera per la precisione, per cui quel giovane con il barbone doveva parergli un alieno.

Saranno prima gli espropri forzosi ai danni delle grandi aziende statunitensi, che sull’isola avevano goduto per anni di regimi fiscali più che agevolati, e subito dopo la decisione di acquistare il petrolio dall’Unione Sovietica, a avvicinare l’Havana a Mosca, Castro a Krusciov. Il suggello definitivo verrà apposto nell’aprile del 1961, la data della disastrosa Baia dei Porci, il fallito tentativo di deporre il Lider Maximo da parte di un migliaio di dissidenti finanziati e addestrati dalla Cia. Dopo allora fu l’embargo, fu la crisi dei missili dell’Urss installati a Cuba. Una via era tracciata e come richiesto sarà la storia a giudicarla.

Nel celebre discorso in cui Castro pronuncia la ancor più celebre richiesta di giudizio storico sul suo operato, colpiscono i numerosi riferimenti tratti dal mondo protestante. Il contesto: siamo nel 1953, all’indomani del fallito assalto organizzato da un gruppo di giovani rivoluzionari contro la caserma della Moncada per indebolire Fulgencio Batista, dittatore da poco salito al potere con un colpo di Stato. Arriverà una condanna a 15 anni di prigione condonati da un’amnistia del 1955, e arriva il primo e forse il più famoso dei discorsi fiume di Castro, pronunciato davanti agli uomini che dovranno giudicarlo, così tanto ricordato in questi giorni di lutto. Zeppo dunque di citazioni e accenni alla teologia e alla politica protestante, utilizzati soprattutto per corroborare l’ideale del diritto alla ribellione contro il dispotismo.

«Martin Lutero proclama che quando il governo degenera in tirannide ferendo la legge, i sudditi sono liberati dal dovere dell’ubbidienza. Il suo discepolo, Filippo Melantone, sostiene il diritto alla resistenza quando i governi assumono atteggiamenti dispotici».

E poi poco oltre:

«Calvino, il pensatore più notevole della Riforma dal punto di vista delle idee politiche, postula che il popolo ha diritto a prendere le armi per opporsi a qualsiasi usurpazione».

Si passa quindi a François Hotman, lo scrittore e giurista francese che fu collaboratore di Calvino a Ginevra: «Tra il governo e i suoi sudditi esiste un accordo o un contratto e il popolo può lottare contro la tirannia del governo quando tali patti vengono violati».

La carrellata prosegue con il Vindiciae Contra Tyrannos, testo attribuito a Stephanus Junius Brutus, probabile pseudonimo del teologo e politico francese Philippe Duplessis-Mornay che, dopo esser sopravvissuto alla strage di san Bartolomeo del 1572, riorganizzò le fila ugonotte: «la resistenza ai governanti è legittimata quando essi opprimono il popolo ed è dovere dei giudici condurre a loro volta la lotta su questo tema».

Avanti quindi con John Knox, il riformatore scozzese che introdusse la Riforma in Scozia e ne organizzò la Chiesa presbiteriana, anch’egli impegnato ad ampliare il concetto calvinista di resistenza al potere oppressivo, citato per corroborare le tesi di cui sopra.

Ha appena 27 anni Castro quando pronuncia l’arringa difensiva di cui sopra, che denota studi accorati e sete di conoscenza. D’altronde aveva studiato nell’escusivo collegio gesuita della capitale, anche se nello stesso discorso il solo teologo cattolico citato é Tommaso d’Aquino e la sua Summa Theologica.

Incontrò quindi tre papi Castro, ma fu sempre curioso del panorama riformato, come conferma il fatto che il primo culto cui assistette dopo anni di lontananza fu quello celebrato a Cuba nel 1984 dal pastore battista statunitense Jesse Jackson che quell’anno era anche fra i candidati alla Casa Bianca delle file democratiche. E come ricorda il teologo evangelico Juan Stam, che in questi giorni ha raccontato dell’insolito incontro datato 2002, in cui l’anziano leader chiese a lui e ai pastori presenti nella capitale cubana per un summit relativo alla Riforma (ma non ci raccontano che il regime era crudele e uccisore delle libertà?) di poter ragionare insieme su alcune questioni. Ne venne fuori un’intera nottata di dialoghi sul libro dell’Apocalisse. Una sorta di testamento spirituale attorno al testo più evocativo del Nuovo Testamento per il fervente ateo comunista che si era formato sui libri dei Gesuiti.

Immagine: By Ricardo Stuckert/PR – Agência Brasil [1], CC BY 3.0 br, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=79484