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L’Italia a caccia di nigeriani

Negli ultimi anni il governo italiano ha affermato a più riprese di voler trasformare il proprio approccio alla gestione dei flussi migratori e per farlo ha intrapreso diverse strade. Fino a qualche mese fa l’impressione era che si andasse verso un lento e difficoltoso superamento della detenzione amministrativa, incarnata nel sistema dei Cie, i Centri di identificazione ed espulsione, ridotti nel numero e nella capienza rispetto alle origini.

Tuttavia, il cambio al vertice del governo e l’arrivo di Marco Minniti al ministero dell’Interno al posto di Angelino Alfano, passato agli Esteri, ha visto un ritorno a un approccio che sembrava appartenere a un’altra stagione: dopo la circolare del capo della Polizia del 30 dicembre 2016, alla fine di gennaio il Viminale ha inviato un telegramma a tutte le Questure d’Italia con il quale si invita a «procedere alle audizioni a fini identificativi di sedicenti cittadini nigeriani rintracciati in posizione irregolare sul territorio nazionale».

Il fatto di aver indicato in modo esplicito la nazionalità di queste persone colpisce perché sembra mettere in dubbio la natura individuale del diritto d’asilo. Certo, lo scorso anno una quota significativa dei diniegati dalle Commissioni sono stati richiedenti asilo nigeriani, che però per il solo fatto di essere passati attraverso la Libia o aver rischiato la vita su un gommone dovrebbero avere diritto alla protezione umanitaria.

Il comunicato del Viminale prosegue spiegando che l’identificazione dovranno avvenire nei 4 Cie ancora attivi (Roma, Torino, Brindisi e Caltanissetta), nei quali dovranno essere riservati 95 posti, e successivamente si dovrà procedere al rimpatrio dei migranti, per i quali si dovranno attivare «servizi finalizzati al rintraccio». Secondo Filippo Miraglia, vicepresidente di Arci, che è stata tra le prime realtà a denunciare la natura discriminatoria del comunicato del ministero, «non è una novità in sé, ma lascia comunque perplessi e preoccupati».

Che cosa rende preoccupante questa intenzione del Viminale?

«Sono almeno due gli elementi: il primo è proprio il fatto di indicare in particolare una nazionalità, i nigeriani, visto che le persone al limite andrebbero espulse sulla base della loro posizione irregolare, che va valutata individualmente. Le persone possono essere in posizione irregolare sul territorio del Paese per tante ragioni e ognuno ha una storia diversa e va valutato caso per caso. Non si possono ricercare le persone sulla base della loro nazionalità, perché ogni posizione irregolare è diversa e può essere anche che queste persone siano arrivate in questo Paese irregolarmente ma vogliano fare domanda d’asilo. Inoltre può essere che la domanda sia stata respinta e loro siano intenzionati a presentare ricorso. Insomma, la condizione può essere la più disparata, mentre nel comunicato è esplicita l’indicazione di andare a cercare cittadini nigeriani».

Questa intenzione lascia perplessi anche in senso pratico: come si fa a sapere se una persona è un nigeriano senza un regolare permesso di soggiorno?

«Infatti: non ce l’hanno scritto in faccia. Diciamo che i nigeriani sono persone con la pelle scura, quindi dobbiamo pensare che le Questure manderanno in giro gli agenti a fermare persone con la pelle scura chiedendo loro i documenti. C’è sembrato veramente preoccupante che dal Viminale sia stata richiesta un’azione urgente, come se ci fosse una fretta di rintracciare queste 95 persone sulla base del colore della loro pelle e poi successivamente, una volta fermate, di appurare nei Cie la loro nazionalità e la loro posizione irregolare».

Qual è l’obiettivo?

«Come si legge nella testata del telegramma, la prima intenzione è quella di “riempire un volo charter”. Si tratta di fatto di poter dare in pasto alla stampa e all’opinione pubblica un’azione di rimpatrio forzato di 95 persone verso un Paese nei confronti del quale nei giorni scorsi il governo italiano ha avviato un’azione per stringere un accordo relativo proprio ai rimpatri. Si tratta di un’azione dimostrativa per dire che il governo italiano, a seguito di un viaggio fatto in Nigeria e dell’accordo siglato con il governo, adesso è in grado di mettere in atto i rimpatri. Ovviamente, il fatto che vengano rimpatriati 95 persone, ammesso che questa cosa possa avvenire con un rastrellamento di nigeriani nelle città italiane, non risolve nessun problema e non cambia nulla. Tuttavia è un segnale che si dà all’opinione pubblica e ci sembra sconcertante che questa azione venga fatta in questi termini e con questo obiettivo, senza affrontare né i reali problemi del sistema dell’accoglienza italiano né quelli delle persone che sono in posizione irregolare. Tra l’altro, tutti sanno che in Nigeria, che è un Paese molto grande con tantissimi abitanti, è presente un gruppo terroristico che si chiama Boko Haram e di cui tutti conoscono la violenza, e che dalla Nigeria arrivano purtroppo molto spesso donne, e 50 di queste persone dovrebbero essere donne, che sono vittime della tratta degli esseri umani».

Questa richiesta, insieme all’annuncio di un rilancio dei Cie, ripropongono in forma esplicita una logica securitaria che però non ha mai funzionato. Cosa si pensa che possa cambiare stavolta?

«In effetti il ministero dell’Interno negli ultimi anni aveva progressivamente dismesso i Cie, semplicemente perché ci si era resi conto del fatto che non servono a nulla, non funzionano. A prescindere dal numero dei posti e anche dalla durata della detenzione, il numero di rimpatri forzati che si riescono a fare attraverso i Cie è molto limitato: anche quando c’erano 1.900 posti disponibili in 14 centri di detenzione non si erano mai superate le 3000 persone rimandate indietro, perché tutto dipende anche dalla natura degli accordi con i Paesi di provenienza. Ecco, il ministero dell’Interno aveva potuto constatare questa inefficacia negli anni e si stava andando verso la chiusura della stagione della detenzione amministrativa».

E poi che cos’è successo?

«È successo che adesso il ministro Minniti si è insediato e ha voluto “dare un segnale”, cioè dimostrare che l’Italia fa sul serio e che siccome c’è da parte dei cittadini una domanda di sicurezza loro danno una risposta in termini di moltiplicazione dei centri di detenzione. È un approccio sbagliato, perché non si tratta di una risposta, ma serve soltanto ad alimentare questa domanda. Quello che succede è che quando il ministro dell’Interno afferma di volere un Cie in ogni Regione, in realtà suggerisce agli italiani e alle italiane che servano i centri di detenzione e che quindi ci sia un problema di sicurezza nel nostro Paese. Oltretutto, questo cambiamento è incoerente con quello che il ministero dell’Interno ha fatto fino al giorno prima».

Immagine: via Flickr