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Un sogno ecumenico di Domenico Maselli

Un anno fa ci lasciava Domenico Maselli, pastore, professore di Storia del Cristianesimo, in una parte della sua vita anche deputato alla Camera. Alessandrino di nascita, proveniente dalla Chiese libere, ebbe Lucca come sua città d’adozione e Lucca lo ricambiò con affetto per tutta la sua lunga presenza in città come pastore della chiesa valdese. Ora, esattamente il 4 marzo, una giornata di studio e riflessione lo ricorda, ma soprattutto e ne lancia il «sogno». Intorno al tema «L’eredità di Domenico Maselli: il sogno ecumenico», si ritrovano infatti, a partire dalle 16 nella basilica di S. Paolino, studiosi e rappresentanti di varie confessioni e denominazioni, dal presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, Luca M. Negro («Presente e futuro del protestantesimo italiano») al prof. Riccardo Burigana («La Chiesa cattolica nel cinquecentenario della Riforma»), dal monaco camaldolese Emanuele Bordello («Interpellati dalla fede dell’altro») ad altri che interverranno o hanno dato sostegno all’iniziativa (l’arcivescovo Italo Castellani; il sindaco Alessandro Tambellini; Piero Stefani, presidente del Segretariato attività ecumeniche – Sae –; la teologa cattolica Serena Noceti, il past. Mario Affuso della Chiesa apostolica italiana, Marco Ricca del Centro culturale protestante «Pietro Martire Vermigli» di Firenze; Stefano Gagliano dell’ass. «Piero Guicciardini»; Franco Buzzi, prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano, e il prof. Carmine Napolitano della Facoltà pentecostale di Scienze religiose).

A Paolo Ricca, docente emerito di Storia della Chiesa alla Facoltà valdese di Teologia di Roma, tocca il compito di svolgere una relazione il cui titolo coincide con quella dell’intera giornata: gli abbiamo chiesto di illustrarci il suo intervento. «Sono proprio i sogni – ci dice – che a volte hanno la forza di creare nuove realtà nella storia: se queste ultime non venissero sognate, non ce le potremmo immaginare. Ma lasciare un sogno in eredità è soprattutto una grande sfida per gli eredi che si riuniscono attorno a un suo testo, per la verità assai breve, in cui egli sognava la creazione di un centro ecumenico che “dovrà essere gestito dagli enti locali con pari presenza delle due Chiese”» – così le parole di Maselli stesso. Promotore di questo Centro ecumenico, nella sua visione, dovrebbe essere il Centro culturale «P. M. Vermigli» di Firenze. «La simbolica prima pietra del Centro – si legge ancora nella pagina lasciata da Maselli – dovrebbe essere posta il 1° novembre 2017 per celebrare il 500° anniversario della Riforma».

La peculiarità di questa idea sta nel fatto che gli Istituti ecumenici già presenti in Italia (l’Istituto San Bernardino di Venezia, gestito dai francescani, che cura specialmente, ma non solo, i rapporto con il protestantesimo; e l’Istituto San Nicola di Bari, un tempo gestito dai domenicani, che cura specialmente, ma non esclusivamente, i rapporti con l’ortodossia, ma anche il Centro di documentazione ecumenica fondato a suo tempo a Livorno dal vescovo Ablondi, e un servizio analogo svolto dal prof. Burigana a Venezia) sono stati fondati e svolgono la loro attività per opera di una sola confessione – nello specifico, la cattolica –, mentre qui si tratterebbe di un centro da crearsi da parte della Chiesa valdese (e magari altre chiese protestanti) e dalla Chiesa cattolica: sarebbe un fatto nuovo addirittura anche a livello europeo.

Un’altra peculiarità della struttura prefigurata da Domenico Maselli, tuttavia, è proprio quella di volerne affidare la gestione agli enti locali: «La sua sfida si propone di coinvolgere le città: Lucca e Ginevra; ovviamente bisognerà vedere se esse si sentiranno di impegnarsi e fino a che punto – prosegue Ricca –. Lucca a suo tempo fu “matrigna” nei confronti dei riformati, poiché negli anni 1550/60 li cacciò obbligandoli a rifugiarsi a Ginevra: lì costoro ebbero un successo anche di carattere civile oltre che religioso ed economico». A questo punto, se tutto il «sogno» si potesse realizzare, Lucca potrebbe ambire a diventare «città della Riforma»: Lucca cacciò, i riformati, insomma, li cacciò perché c’erano ed erano attivi, come, conclude Ricca, è dimostrato molto bene dagli studi di Salvatore Caponetto.