ventimiglia

Niente di nuovo sulla frontiera occidentale

Il 2017 si preannuncia come un anno complesso per il Mediterraneo: con la “rotta balcanica” parzialmente chiusa dal marzo del 2016 e con la Libia che non riesce a uscire in alcun modo dal caos che la caratterizza dal post-Gheddafi, le migrazioni verso l’Italia sono destinate ad aumentare. Le persone che riescono a raggiungere il nostro Paese e a evitare il trattenimento nei Centri di identificazione ed espulsione o in strutture simili, ma che non hanno accesso a percorsi strutturati di accoglienza, finiscono per rimanere bloccate in alcuni luoghi di confine che per loro natura hanno sempre rappresentato dei punti di passaggio, ma che oggi sono il simbolo stesso di un ritorno delle frontiere. Uno di questi luoghi, in cui le esistenze vengono confinate, è Ventimiglia.

In questa località sospesa da sempre tra Italia e Francia il 2017 è cominciato con grandi difficoltà, che si sono andate a sommare a quelle che già avevano segnato Ventimiglia per tutto il 2016: tra queste spicca il rogo al campo umanitario Parco Roja, gestito dalla Croce Rossa, il 20 febbraio, che ha portato alla chiusura del centro e alla sua parziale riapertura soltanto dal 9 marzo.

Daniela Zitarosa, operatrice legale a Ventimiglia, impegnata con l’organizzazione umanitaria Intersos, è presente a Ventimiglia dal luglio 2016, prima con la Diaconia Valdese e poi con Caritas, e racconta che Intersos, che sta portando avanti un progetto di monitoraggio di tutti i confini dell’arco alpino, «ha identificato un bisogno particolare qui e ha deciso di aprire uno sportello sul territorio con un focus principale sui minori stranieri non accompagnati e sulle persone con particolare vulnerabilità». Le storie individuali delle persone, infatti, sono decisive per comprendere questi luoghi, perché se ci si limita a parlare di numeri si perde di vista il fatto che dietro ogni unità di quel totale c’è una persona, magari con una storia traumatica alle spalle, e che è arrivata a Ventimiglia portandosi dietro un vissuto che non può essere ignorato.

Come sono andati gli ultimi mesi a Ventimiglia?

«Abbiamo dovuto fare i conti con l’incendio scoppiato all’interno del campo della Croce Rossa, in modo assolutamente accidentale, che ha portato alla distruzione di diversi moduli. Nonostante questo avvenimento, si era già deciso di mettere in atto dei lavori di ristrutturazione del campo della Croce Rossa, per cui si era stabilito di non accettare più i nuovi arrivati, e questo ha portato alla presenza di parecchie persone all’interno del territorio di Ventimiglia senza più un posto in cui andare. Noi stiamo continuando un monitoraggio in stazione per verificare gli effetti e abbiamo riscontrato la presenza di numerose persone fuori dal campo, dalle 70-80 di alcuni momenti fino a picchi di 150, ma sempre ovviamente molto instabili e variabili. Per fortuna a fine marzo il campo della Croce Rossa riaprirà con la sua capienza massima. È una situazione per nulla facile, se mai è stata facile qui a Ventimiglia».

Il problema è che ora, con l’arrivo della primavera, questi numeri sono destinati ad aumentare. C’è qualche indizio del fatto che quest’anno le cose possano andare meglio degli scorsi?

«Non credo. In questo momento è ancora più difficile del solito fare previsioni, perché ci sono dei cambiamenti a livello politico, nazionale e internazionale, che rendono tutto più complesso: si va dall’accordo con la Libia fino al decreto Minniti, e ogni novità complica il quadro. Sicuramente quello che posso immaginare è che con la primavera ci ritroveremo con numeri molto elevati, sia per il discorso degli sbarchi sia per tutti i diniegati, persone che magari abbiamo già incontrato l’anno scorso, all’inizio della primavera, che hanno comunque deciso di proseguire il loro viaggio migratorio e che sono stati accolti negli altri Paesi dell’Unione europea giusto il tempo per verificare la loro procedura. Ecco, loro saranno rimandati presto in Italia, quindi avremo anche questi numeri da considerare, oltre a quelli degli sbarchi».

Con le nuove norme proposte dal governo l’approccio securitario alle migrazioni sembra vivere una nuova stagione di forza. C’è il rischio che i diritti di queste persone e i margini d’azione degli operatori si riducano?

«Sicuramente sì. La politica dei rimpatri forzati si è già dimostrata fallimentare sotto più punti di vista e quello che viene meno sono proprio i diritti, che sono prima di tutto quelli di persone che in alcuni casi non sono più all’interno del campo e ora si ritrovano di nuovo a dormire in stazione senza avere accesso a dei bagni, a delle informazioni, e quindi ovviamente senza la possibilità di vedere attuati dei diritti che sono indispensabili e basilari della vita. Questi nuovi decreti sembrano non vedere realmente la situazione, sembrano non conoscere la situazione reale. La politica dei respingimenti, delle espulsioni, non potrà che peggiorare i suoi risultati, e inoltre si ledono tutta una serie di diritti fondamentali. Più ancora che il decreto Minniti, credo che il grande rischio sia l’accordo con la Libia. Su quello non ci sono molte parole da dire, perché tutto sarebbe riduttivo».

Quando si entra in contatto con chi si trova in questo momento a Ventimiglia, dentro e fuori dal campo, c’è da parte loro un minimo di coscienza di quali sono i propri diritti e doveri?

«Una domanda che faccio sempre è se qualcuno ha mai dato loro un’informativa legale, se qualcuno ha mai spiegato loro quali sono i loro diritti. Ecco, spesso la loro risposta è “no”, e a me sembra strano, nel senso che comunque gli sbarchi vengono gestiti da realtà come Save the Children, Unhcr e anche da noi di Intersos, e per quanto la situazione durante gli sbarchi non sia per niente facile, so che comunque l’informativa viene fornita. Un esempio: noi come Intersos abbiamo a Roma un centro per minori stranieri non accompagnati in transito e molti dei ragazzini che poi vengono a Ventimiglia sono già passati proprio dal nostro centro di Roma, quindi siamo sicuri che hanno avuto l’informativa, eppure se si chiede loro se qualcuno gli ha spiegato quali sono i loro diritti, rispondono comunque di no. Quello che invece è sicuro è che l’informazione non è costante: ce l’hanno molto probabilmente all’inizio, ma poi lungo il percorso non viene garantita».

Che cosa chiedono queste persone a voi operatori legali?

«Quello che mi chiedono loro principalmente è come raggiungere la Francia, la Germania, l’Olanda, come possono fare per poter continuare il loro percorso migratorio, poi parlando vengono fuori varie esigenze, per esempio spesso prendo una cartina e gli chiedo di indicarmi dove sia Ventimiglia e loro, altrettanto di frequente, non la sanno posizionare nel punto corretto. Da lì capisco che hanno bisogno di un’informativa molto più concreta, di base, su dove siano i luoghi che vogliono raggiungere, dove si trovano loro in quel momento e quali strade non possono essere percorse e perché».

Attualmente qual è la loro prospettiva? Quella di Ventimiglia può diventare una situazione permanente o prima o poi si dovrà sbloccare, in un modo o nell’altro?

«La mia speranza è che la situazione si sblocchi, che si possano trovar politiche a livello nazionale e non solo che possano essere più efficaci, invece di tornare indietro verso politiche fondate sui Cie, che anche se cambiano nome sono sempre e comunque la stessa cosa. È necessario trovare altre soluzioni, che prendano in considerazione un dato reale, cioè che queste persone non vogliono restare in Italia, ma vogliono provare ad andare in altri posti. I motivi sono molti, quindi portare avanti questa politica di blocchi, perché di questo si tratta, non porta nulla se non che loro continueranno a mettere a rischio la propria vita, tenteranno sempre di oltrepassare i confini, non si regolarizzeranno mai, e questo andrà a creare nuovi irregolari sul territorio. È una catena che invece di tendere al virtuoso tende al fallimento sotto più punti di vista. Queste persone non vogliono stare qua, non vogliono stare in Italia e anche le persone che vogliono stare in Italia si trovano a dover fare i conti con una realtà che non è per nulla accogliente, stimolante e propositiva».

Immagine: via Flickr – Elisa Triolo