anna

Riformati mondiali. Una donna sul pulpito di Lutero

«Oggi, sul pulpito di Lutero, c’è una donna mediorientale. Se Lutero lo avesse immaginato avrebbe aggiunto alle sue 95 tesi una 96esima domanda alla chiesa. E la domanda non sarebbe stata: “perché c’è una donna sul pulpito?”; bensì: “perché c’è voluto così tanto tempo?”». E’ con queste parole che la pastora libanese Najla Kassab ha cominciato il suo sermone dal pulpito della Stadtkirche di Wittenberg, dove Martin Lutero usava predicare, durante il culto che ha visto la Comunione mondiale di chiese riformate (Wcrc) sottoscrivere la Dichiarazione luterano-cattolica sulla dottrina della giustificazione per fede (Jddj).

Kassab è la seconda donna pastore consacrata dal Sinodo nazionale evangelico della Siria e del Libano. Essere stata scelta come predicatrice di una celebrazione in cui, con la firma della Jddj, è stato compiuto un significativo passo ecumenico che coinvolge, oltre i riformati mondiali, anche le chiese luterane, metodiste e cattolica – quest’ultima rappresentata per l’occasione da monsignor Brian Farrell del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani – è la cifra di un’Assemblea della Comunione riformata(Lipsia, 29 giugno – 7 luglio 2017) che ha dedicato molto spazio alle questioni di genere.

Alla giustizia di genere è stata dedicata gran parte della giornata assembleare del 1° luglio con interventi delle teologhe Isabel Apawo Phiri e Elsa Tamez, mentre il 3 luglio è stata approvata una Dichiarazione di fede sull’ordinazione delle donne che inizia con questa affermazione: “Dio, attraverso lo Spirito santo, chiama donne e uomini a partecipare pienamente a tutti i ministeri della chiesa”.

«Certo, la giustizia di genere non è limitata all’ordinazione delle donne», ha ricordato il pastore Chris Ferguson, segretario generale della Wcrc. Tuttavia, il documento assembleare pone inequivocabilmente la questione nell’ambito della giustizia. Come si legge nella “Dichiarazione”, rispetto alle ingiustizie e alle violenze che le donne subiscono ovunque nel mondo, la protesta delle chiese «a favore dei diritti umani delle donne, è compromessa dal fatto che le chiese stesse nella propria vita istituzionale mostrano di credere nell’inferiorità delle donne e nella loro incapacità di servire come ministre ordinate».

Secondo una ricerca citata dal documento, 42 delle 225 chiese della Wcrc non consacrano donne pastore. Le ragioni addotte però non sono teologiche, ma culturali o di politica ecumenica: si tratta di chiese che vivono in contesti in cui la società non accetta ruoli femminili di leadership, ma anche di chiese di minoranza che vivono in contesti a larga maggioranza cattolica o ortodossa e che sentono una pressione “ecumenica” contro la consacrazione delle donne.

In questi casi, la “Dichiarazione” invita i riformati ad assumere un ruolo contro-culturale, capace di capovolgere l’ordine stabilito. Questo vale anche per le chiese che hanno donne pastore, ma che devono comunque verificare quale ruolo effettivo abbiano le donne al loro interno, se sono equamente rappresentate nei luoghi decisionali, se i loro stipendi sono equiparati a quelli maschili.

Immagine di Anna Siggelkow