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Un bilancio aperto

Il 2017 ha visto molti appuntamenti di diverso taglio, che hanno contribuito ad approfondire un avvenimento storico, trasformandolo però in una occasione di confronto tra le chiese. Così l’attenzione è passata dalla oggettività del fatto alla soggettiva presa di coscienza di quella riforma costante, alla quale tutti siamo chiamati. Tutte le chiese, non solo quelle più direttamente legate alla Riforma del XVI secolo, hanno capito che riflettere ancora oggi sulla vicenda di Lutero risponde a quella esigenza di coerenza evangelica che riguarda ogni cristiano. Anche grazie a questo anniversario, quindi, ha preso corpo una convinzione trasversale a tutti i discepoli del Risorto: l’unità dei cristiani non è qualcosa a cui «tornare»; essa piuttosto sta «davanti» a noi come un fatto mai sperimentato prima. E così siamo tutti un po’ più consapevoli che lavorare insieme, come cristiani di diverse chiese, non è un optional, bensì un must.

Desidero condividere quindi alcune considerazioni di bilancio di quest’anno di grazia e allo stesso tempo di sguardo al domani: per evitare che vada tutto a finire tristemente in archivio.

Molte volte durante il 2017 abbiamo lavorato e pregato insieme, consapevoli del fatto che Lutero è partito dalla necessità di un ritorno alla Scrittura. L’attualità di tale appello credo non possa mai tramontare nella coscienza della Chiesa. Ciò significa che in quanto cristiani anche di diverse tradizioni abbiamo sempre qualcosa da imparare reciprocamente su come ascoltare la Scrittura, senza mai dare per scontato che una certa interpretazione sia l’unica possibile: un confronto a più voci sui testi biblici produce sempre una grande ricchezza e apre orizzonti mai scontati. Mi chiedo quindi se non si possa pensare a una pubblicazione «ufficialmente ecumenica» di commenti alla Scrittura. Non sarebbe un modo concreto per dar valore al pensiero dell’altro? La tradizione di pensiero protestante come la equivalente cattolica sono di tutto rispetto e già vengono abbondantemente utilizzate da ciascuno di noi; forse si potrebbe pensare a una forma comune e ufficiale di reciproco riconoscimento. E se a questo progetto aderissero anche le chiese ortodosse e apostoliche e la chiesa anglicana, ciò si tradurrebbe in un grande segnale di ecumenismo concreto.

Una tale proposta potrebbe essere consolidata dalla costituzione di un tavolo permanente di incontro tra le chiese cristiane presenti in Italia. Cosa chiaramente imparentata con la Riforma: gli storici affermano infatti che i Riformatori, almeno inizialmente, non volevano una spaccatura della Chiesa, ma piuttosto un confronto che portasse ad un autentico rinnovamento. Lavorare insieme per far sì che si verifichi sempre più questo rinnovamento alla luce del Vangelo credo sia un punto di non-ritorno: far marcia indietro non equivarrebbe a tradire il Vangelo?

Come cristiani poi condividiamo una responsabilità verso il mondo in cui viviamo. Se è necessario essere «in-culturati» nella società e stare al passo con essa, dall’altra parte però mi pare necessario anche essere «contro-culturali»: saper mettere in dubbio certe convinzioni dell’uomo di oggi, aiutandolo a rileggere le proprie scelte alla luce del Vangelo. La capacità di porre anche domande difficili e di esercitare la critica costruttiva, credo sia parte della vocazione cristiana. Più lo faremo insieme e più lo faremo anche tra noi, reciprocamente, anche su quelle questioni che ancora ci dividono, più tutto questo sarà credibile.

E così saremo aiutati a riscoprire «la» Chiesa come comune chiamata a essere universali e ad accogliere una molteplicità di volti. Non più semplicemente ospiti l’uno dell’altro, reciprocamente vicini o uno accanto all’altro, ma chiamati a vivere l’uno con l’altro e ad andare l’uno incontro all’altro.

Cristiano Bettega è il direttore Ufficio Cei per l’ecumenismo e il dialogo
Immagine di Pietro Romeo