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Perché i migranti non possono restare qui?

Ripabottoni, un piccolo borgo arroccato sulle alture della provincia di Campobasso, ha occupato nei giorni scorsi le pagine dei giornali nazionali perché – a differenza di quanto accaduto in altri luoghi – gli abitanti hanno protestato contro la decisione della Prefettura di chiudere il centro di accoglienza straordinaria (Cas) «Xenia» e di trasferire in alcuni paesi limitrofi i 32 giovani richiedenti asilo presenti nella struttura. A nulla sono valse le oltre 150 firme raccolte: i migranti hanno lasciato il paesino, dove si sono ben integrati anche nella vita delle due comunità cristiane, quella cattolica e quella evangelica battista.

«Il Paese sta vivendo un vero e proprio lutto – ci racconta al telefono Miriam Sauro, giovane della chiesa battista che da giugno è stata assunta come operatrice proprio presso il centro Xenia –. La presenza di questi ragazzi, con i quali scambiarsi un saluto, parlare, fare amicizia, ha ridato vita al paese che è piccolo e che soffre di un forte spopolamento. Quest’anno, grazie a loro è rinata anche la squadra di calcio cittadina che stava giocando molto bene… Quei ragazzi ci hanno dato tanto in termini di amicizia, gioia e partecipazione: sentiamo tutti la loro mancanza!».

Miriam racconta che, quando più di un anno fa giunse in paese la notizia dell’apertura del Centro di accoglienza, i cittadini, spinti da paure e pregiudizi, reagirono male. Ma già dai primi giorni, i migranti cominciarono a fare conoscenza con le persone del paese, che si aprirono sempre più all’accoglienza.

L’11 gennaio scorso la Prefettura, dopo che il sindaco ha aperto in paese un centro collegato al Sistema di protezione per richiedenti asilo/rifugiati (Sprar) per minori stranieri non accompagnati, ha reso esecutiva la chiusura di Xenia. I ragazzi sono stati smistati in vari paesi distanti anche un’ora e più tra loro. «Li sentiamo tutti i giorni, e siamo già andati a trovarli nelle nuove sedi. Il dispiacere per quanto accaduto è immenso, pian piano capiremo se servono loro cose, indumenti; già moltissimi in paese si sono dichiarati disposti a aiutarci. Ciò che ci rattrista è che Xenia era nel centro di Ripabottoni, mentre ora i ragazzi sono isolati dal resto del mondo e questo renderà più difficile per loro proseguire il percorso d’integrazione in atto».

Chi soffre di più di questo trasferimento forzato sono le due comunità cristiane. «Al pari del paese, la chiesa ha subito un’ingiustizia – afferma il pastore Vincenzo Polverino che cura la chiesa battista –. Per la nostra comunità questi ragazzi sono stati un dono del Signore che ha arricchito di spiritualità e di gioia la vita comunitaria». Una decina di loro ha frequentato in questi mesi la comunità attivamente, cantando e suonando. «Con il loro arrivo – prosegue Miriam Sauro – abbiamo comprato degli strumenti e abbiamo messo su un gruppo musicale. L’ultima domenica in cui hanno partecipato al culto, il pastore ha invitato a servire la Santa Cena uno dei ragazzi che, oltre a essere onorato, si è sentito veramente parte della comunità».

«Noi tutti speriamo il meglio per questi nostri amici e fratelli – conclude Miriam –. Sanno con certezza che possono contare su di noi che siamo per loro quella famiglia che, per diversi motivi, hanno dovuto lasciare nel loro paese di origine».