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La (falsa) profezia degli algoritmi

Chi ha fondato la chiesa luterana? Martin Lutero. Chi ha fondato la chiesa metodista? John Wesley. Chi ha fondato la chiesa cattolica? Gesù. A dirlo è Alexa, l’assistente virtuale a comando vocale di Amazon, strumento robotico dotato di intelligenza (ignoranza?) artificiale, usata in ambito domotico. A porre le domande ad Alexa è un prete antiabortista del Nord Dakota, Jason Signalness, che in un video caricato su YouTube il 18 dicembre scorso, in meno di un mese ha superato le 180.000 visualizzazioni.

In quella che alcuni hanno già chiamato la «dittatura degli algoritmi» è facile oscillare inconsapevolmente fra incredulità e fede cieca. In qualità di utenti e fruitori, siamo intrappolati nel meccanismo duale dove da una parte crediamo alle bufale e, all’estremo opposto, crediamo solo in noi stessi, quali esseri superiori in grado di valutare, stabilire e detenere la verità, cogliendone complotti e manipolazioni.

Veniamo a sapere, quindi, da Alexa, che la chiesa cattolica è stata fondata da Gesù, a ribadire l’equivoco di una corrispondenza fra cattolicesimo e cristianesimo, equivoco che si esprime anche nel sorriso compiaciuto di un prete, con lo sguardo di chi la sa lunga, di chi ne sa una in più degli altri. A confermare l’autorità del sapere (e delle gerarchie di potere) è la macchina, l’algoritmo, quello che Ivan Illich definirebbe un minaccioso «strumento sovrefficiente».

Sappiamo che i nativi digitali, così come gli analfabeti funzionali, hanno delle difficoltà a interpretare e codificare le fonti e l’attendibilità delle notizie e delle informazioni.

Se chiedessimo a Gesù quale chiesa ha fondato, cosa risponderebbe? Risponderebbe con un sorriso compiaciuto? Probabilmente sì. I credenti cristiani di ogni denominazione hanno il grande privilegio di potersi rivolgere direttamente a Lui, chiedendo, dialogando, pregando e ricevendo risposte attraverso lo Spirito e la Scrittura.

È lo stesso Gesù che scaccia i mercanti dal tempio, rovesciando tavoli e sedie e adirandosi perché il tempio è diventato un covo di ladroni. Come i mercanti, chi produce e detiene gli algoritmi ha interessi che hanno varcato i confini della finanza, hanno penetrato la quotidianità, il Web, i social, il mercato, la cultura e l’informazione.

«L’autorità è sempre più espressa in termini algoritmici» sostiene Michele Mezza, giornalista, parlando di automatismo del pensiero, terreno di conflitto dove chi sviluppa l’algoritmo trasmette una gerarchia di valori. Mezza si interroga su trasparenza, modificabilità e negoziabilità degli algoritmi nello spazio pubblico. La questione è e resta aperta. L’imprenditore Kevin Slavin in una conferenza Ted (Technology Entertainment Design è un marchio di conferenze statunitensi, gestite dall’organizzazione privata non-profit The Sapling Foundation) ha parlato di intrusione degli algoritmi nella creatività. Per sfuggire al dominio del monopolio radicale, sempre citando Illich, «Noi dobbiamo e, grazie al progresso scientifico, possiamo edificare una società postindustriale in maniera che l’esercizio della creatività di una persona non imponga mai ad altri un lavoro, un sapere o un tipo di consumo obbligatori».

Affidarsi all’algoritmo ha i suoi rischi. Quelli del dominio sulla rappresentazione di noi stessi, di uno squilibrio nella dimensione del sapere e nella dimensione del potere, dove la tecnologia ci può asservire e programmare, limitando e condizionando le nostre scelte.

I credenti in carne e ossa possono sì accedere a pastori robot, a stanze virtuali dove pregare insieme ad altri avatar, a servizi sacramentali digitali, come l’adorazione eucaristica via webcam. Ma quegli stessi credenti rischiano (in realtà già rischiavano prima, ma ora di più) un asservimento più profondo, più inconsapevole. Un asservimento ad autorità occulte e manifeste, il cui scopo è il controllo su ciò che viene detto, pensato, agito e consumato. Un asservimento che estorce ai credenti il messaggio liberato e liberante del Cristo risorto.

Immagine: via istockphoto.com