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La Cevaa: un movimento sempre vivo

La Cevaa è una comunità di chiese protestanti in missione, che raggruppa chiese di 24 stati in Africa, America Latina, Europa, Oceano Indiano e nel Pacifico. Un movimento missionario trasversale tra le chiese, che agisce sotto l’indicazione e di tre grandi parole guida: condividere, agire e testimoniare.

Laura Nisbet, diacona in emeritazione e membro della chiesa valdese di Torre Pellice, ha lavorato per trent’anni con la Cevaa, recandosi all’estero per progetti di insegnamento. Ci ha raccontato il suo personale ricordo e rapporto con questo organismo internazionale.

«La Cevaa è stata la mia vita: sono partita nel 1962 con l’allora Société des missions évangéliques de Paris. Ho lavorato con le missioni, è stata una vita molto ricca, ho vissuto in ambiti molto diversi tra loro. Prima in Gabon, nella foresta equatoriale, poi in Zambia e infine nel Lesotho, piccolo regno nel centro del Sudafrica. Tre paesi completamente diversi, ex colonie francesi o anglofone, protettorati britannici, in cui ho potuto vivere in prima persona vicende politiche internazionali, la lotta all’apartheid, la prigionia e l’impegno di Nelson Mandela. Sono tornata in Italia nel 1994, arricchita da una rete di amicizie e di ricordi incredibile. Qualche anno fa, nell’ottobre del 2012, quando a Torre Pellice si è svolta l’Assemblea Generale della Cevaa, ho anche avuto modo di reincontrare un’ex studentessa della scuola femminile del Gabon, a cui avevo fatto da insegnante. Un momento di ritrovo molto emozionante».

Un lavoro che l’ha portata quindi in giro per il mondo, a conoscere culture diverse, ma legate da una fede comune.

«Un lavoro entusiasmante, ma anche faticoso, soprattutto all’inizio. Sono partita quando le missioni erano ancora intese nel senso originale, “primitivo”, cioè la missione delle chiese dell’occidente che vanno ad evangelizzare i “pagani” del sud e dei paesi poveri. Negli anni in cui ho lavorato questo concetto è completamente cambiato. Ora la Cevaa è una comunità di 37 chiese evangeliche che hanno come scopo il reciproco scambio e conoscenza. Ho vissuto il periodo del passagio di mentalità, e non è stato semplice. Ad un certo punto si è compreso che le chiese indigene dovevano diventare autonome e prendere in mano la direzione di scuole, ospedali… un cambiamento estremamente interessante, ma che ha richiesto molto impegno da parte di tutti».

Un ricordo che è ancora particolarmente vivo?

«Mi viene in mente lo Zambia, dove fui promossa come predicatrice locale. Durante la settimana quindi insegnavo francese e nel fine settimana andavo a leggere la Bibbia nei villaggi. Partivo da sola con la mia macchina, attraverso dei sentieri nella savana, luoghi completamente disabitati. Mi successe una volta di rimanere bloccata con la macchina nel fango. Rimasi in balìa degli eventi, ma per fortuna arrivarono due zambiani in bicicletta, che stavano andando al culto domenicale. Senza bisogno di chiedere nulla, di dire una parola, mi aiutarono a liberare la macchina, sporcandosi tutti, ma con un grande sorriso. Quindi un esempio di grande umanità, solidarietà, aiuto reciproco».

Laura Nisbet fa parte della chiesa valdese di Torre Pellice, dove si vuole rilanciare il gruppo Missioni: l’obiettivo è un sostegno finanziario per un ospedale e un orfanotrofio in Camerun. Per questo, in occasione di domenica 21 gennaio, la domenica della Cevaa, si è organizzata una giornata ricca di eventi e incontri.

Il culto del mattino, alle 10 nel tempio valdese di Torre Pellice, vedrà la predicazione del pastore Berthin Nzonza, rappresentante della chiesa valdese nel consiglio Cevaa. Dopo il culto sarà aperta un’esposizione etnica e alimentare e la giornata proseguirà con un pranzo comunitario nella sala unionista. Nel pomeriggio, alle 14,30, la conferenza del dottor Stefano Demasi, membro della chiesa valdese di Milano. Nel quadro degli scambi individuali della Cevaa, Demasi ha passato lo scorso mese di agosto in un ospedale della chiesa evangelica del Lesotho: racconterà quindi la sua esperienza lavorativa e umana, accompagnato nel racconto dal pastore Franco Tagliero.