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Giulio Regeni scompariva due anni fa

Due anni fa un giovane ricercatore italiano scompariva nei pressi del Cairo, in Egitto. Nove giorni dopo, il 3 febbraio 2016, il suo corpo veniva ritrovato a pochi passi da una superstrada alla periferia est della capitale egiziana, poco lontano da una delle prigioni dei servizi segreti del Paese, con addosso evidenti segni di tortura. Il suo nome era Giulio Regeni, ma avrebbe potuto essere un altro, magari nato in un posto diverso, pochi anni prima o pochi anni dopo. Proprio la sua normalità, quella di un ricercatore di meno di trent’anni inviato dalla sua università in un Paese diventato noto per la violazione dei diritti umani e per le sparizioni forzate, ha fatto sì che in molti si identificassero con questa storia e che in molti cominciassero a pensare a quanti avrebbero potuto essere lì al posto di Giulio, in quel posto e in quel momento, oppure in luoghi simili e altrettanto a rischio.

«Nei giorni in cui era scomparso – racconta Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia – abbiamo temuto il peggio sin da subito, perché era una tipica modalità di sparizione che aveva già riguardato centinaia di egiziani ed egiziane. Che poi le cose non siano andate nel verso giusto lo testimoniano i mesi successivi, con tutti i depistaggi da parte delle autorità egiziane, con la non particolare insistenza delle autorità italiane nel cercare la verità, nel pretenderla. Per chi conosce la storia delle violazioni dei diritti umani in Egitto, quando è stato ritrovato il corpo con quei segni di tortura, noi abbiamo subito pensato a un delitto di Stato, a un fatto in continuità con il sistema di violazioni dei diritti umani in Egitto».

L’ultima traccia lasciata da Giulio Regeni risale alle 19.41 del 25 gennaio 2016. Da allora è stato possibile ricostruire ben poco di quanto possa essere accaduto al ricercatore friulano dell’Università di Cambridge e per mano di chi sia stato tradito, rapito, torturato e infine ucciso.

I nove giorni trascorsi tra la sparizione e il ritrovamento sono la grande zona d’ombra di questa vicenda, sottovalutata all’inizio e al centro di una grande confusione subito dopo. In quei giorni il governo italiano, tramite il Ministero degli Esteri, aveva seguito la classica strada diplomatica, il dialogo con il proprio omologo egiziano, senza però ottenere alcun risultato. «Il Ministro degli Affari Esteri Paolo Gentiloni – si leggeva il 31 gennaio in un comunicato stampa del Ministero – ha avuto poco fa un colloquio telefonico con il suo omologo egiziano Sameh Shoukry, al quale ha richiesto con decisione il massimo impegno per rintracciare il connazionale e per fornire ogni possibile informazione sulla sue condizioni. L’Ambasciata al Cairo, sin dalle prime ore dalla sparizione, ha subito attivato canali di comunicazione diretta e una stretta attività di coordinamento con tutte le competenti Autorità egiziane, ed è in attesa di ricevere elementi sulla dinamica della sparizione. Ambasciata e Farnesina sono anche in stretto contatto con i genitori di Giulio». Dopo quelle parole e dopo quei giorni, le strade del Cairo restituiranno soltanto il corpo del ricercatore e insieme a lui una lunga lista di bugie e di domande a cui non abbiamo ancora risposta.

Nonostante le parole di collaborazione lanciate dall’Egitto per bocca del suo presidente Abd al-Fattah al-Sisi, infatti, a due anni di distanza non ci sono ancora imputati e i depistaggi degli interlocutori egiziani indicano che molto andrà ancora fatto prima di arrivare alla verità. Negli ultimi giorni è comparsa una lettera attribuita ai vertici dei servizi segreti egiziani, bollata come “totalmente contraffatta” dalla Procura generale egiziana, nella quale si racconta del passaggio del “cittadino italiano Giulio Regeni” dai servizi di sicurezza egiziani ai servizi di informazione militari del Paese. «Come tutte le fonti anonime, anche questa va presa con cautela», spiega Noury. «Ma è sempre terribile pensare che arrivi la conferma, ancora una volta se ce ne fosse bisogno, che Giulio è stato nelle mani di persone senza scrupoli per giorni e giorni, infedeli servitori di uno Stato che viola i diritti umani».

La risposta italiana in questi due anni ha seguito linee diverse, a volte contraddittorie. L’insediamento al Cairo dell’ambasciatore Giampaolo Cantini, con cui l’Italia a settembre ha ricucito le relazioni diplomatiche dopo uno strappo durato quasi un anno e mezzo, ha portato a nuove dichiarazioni di collaborazione da parte dell’Egitto, ma al tempo stesso ha privato il nostro Paese di uno tra gli unici strumenti di pressione a disposizione nei confronti di un governo, come quello di al-Sisi, che non risponde molto volentieri alle pressioni esterne.

Lo stesso presidente egiziano al-Sisi, dopo un incontro con il ministro dell’Interno Marco Minniti al Cairo lo scorso 17 dicembre ha ribadito la volontà di «pervenire a risultati definitivi», ma ancora oggi è la precarietà il tratto distintivo della storia.

Per ricordare Giulio Regeni e per rilanciare la ricerca della verità, Amnesty International ha indetto manifestazioni in decine di piazze italiane per accendere, alle 19:41 di questa sera, migliaia di candele gialle, il colore della protesta contro la sparizione del ricercatore e contro l’insabbiamento del suo caso. A Fiumicello, il paese dove Regeni è nato, si terrà una fiaccolata commemorativa, mentre in 17 scuole si svolgeranno, durante l’orario scolastico, attività di memoria e sensibilizzazione. «Non bisogna – conclude Riccardo Noury – dare questa storia per chiusa, dobbiamo accettare solo quella memoria che è viva e che porta avanti la campagna di verità, perché iniziare a commemorare Giulio, a metterlo in una teca con tutto quello che è stato fatto i questi anni di bello, sarebbe irresponsabile».