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La vita del «parroco di campagna»? Uno stress!

A prima vista si direbbe una vita tranquilla, quella del «parroco di campagna», magari immersa nelle verdi colline inglesi, lontana dal rumoroso e caotico stress cittadino… ma è proprio così?

La realtà sembra essere tutto l’opposto: isolamento, frustrazioni, questioni sociali difficili…

Lo mette in luce «La vita di un prete», documentario in sei puntate partito a metà gennaio sulla televisione inglese BBC2, mostrando la vita di quattro preti anglicani (uomini e donne) nella contea più rurale dell’Inghilterra, l’Herefordshire, nelle Midlands occidentali, seguiti nell’arco di sei mesi.

Annunciata sul sito web del Guardian, la serie sfata alcuni miti che ritraggono la vita agreste in modo idilliaco, fra feste di paese con torte fatte in casa e pascoli verdeggianti. La vita è decisamente più dura: sia per il clero, sia per la gente comune. Entrambi, da due punti di vista diversi, devono affrontare i problemi della povertà, della perdita della casa e del lavoro, la solitudine, i contrasti legati all’arrivo di lavoratori immigrati…

In questo contesto, la chiesa si trova spesso ad avere il ruolo chiave di fornitrice di servizi: spesso rimane l’unica risorsa per i più bisognosi, perché i servizi pubblici vengono tagliati o la burocrazia per accedervi diventa sempre più complicata, o semplicemente perché nelle aree più marginali la chiesa è l’unica organizzazione che può aiutare chi ne ha bisogno. Questo in una situazione paradossale, in cui la chiesa d’Inghilterra decresce – in quindici anni chi si dichiara anglicano è passato dal 30% al 15%). Una situazione che in Italia conosciamo bene, spesso si parla di come le opere diaconali abbiano in parte sostituito il welfare pubblico in luoghi critici.

Così, tra uno studio biblico e un funerale, tra il tetto di una chiesa che perde e una visita pastorale, il vicar macina chilometri per curare le varie comunità di cui è responsabile. Sono addirittura 24 quelle di uno dei protagonisti del documentario… Senza arrivare a questo record, anche questa è una situazione piuttosto nota alle chiese protestanti italiane, dove i pastori si trovano spesso a curare più di una comunità, da sud a nord (e sempre più anche nel nucleo storico della chiesa valdese, le valli del Pinerolese), dalla città alla campagna.

Non stupisce quindi che, sottoposti a questa pressione, i sacerdoti anglicani chiedano aiuto. L’aspetto particolare, segnalato in un articolo dall’agenzia svizzera Protestinter riprendendo il caso del documentario inglese, è che sempre più spesso essi si rivolgono all’esterno della chiesa, in particolare ai sindacati. I problemi non sono molto diversi da quelli di altri lavoratori: pochi periodi di «pausa», molte «scartoffie», procedimenti disciplinari ritenuti ingiusti, la pressante richiesta da parte dei parrocchiani (ma anche dei vescovi) di risolvere tutto e subito e di essere sempre a disposizione. Nell’ultimo anno, riferisce Protestinter, quasi 1500 preti anglicani (insieme a qualche rabbino e imam), un aumento del 16%, si sono iscritti a uno dei principali sindacati inglesi, Unite. Pur non avendo gli stessi diritti dei lavoratori «normali» e non potendo per esempio ricorrere a un tribunale del lavoro, si sono rivolti al sindacato per avere consigli e sostegno. Soprattutto nel caso in cui i contrasti siano fra il parroco e il suo superiore…

Non è tutto rose e fiori, dunque, nemmeno nelle campagne inglesi…