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“Contromano”, senza paure

«Negro di m….», perché un po’ tutti «non siamo razzisti ma…». Albanese, inteso come Antonio, ha deciso di affrontare nel suo ultimo film l’argomento immigrazione. Ne viene fuori un film che riesce a strappare molti sorrisi (perché i personaggi di Epifanio e Alex Drastico Albanese fatica a tenerli al loro posto) trattando il tema senza troppe mezze misure.

A Milano, Cavallaro Mario, il personaggio interpretato da Albanese, è proprietario un negozio di calze, ovviamente di alta qualità. Davanti al suo negozio un africano, Oba, senegalese, ne vende a prezzo vantaggioso, a discapito di qualità (ma un calzino rimane pur sempre un calzino). Concorrenza sleale? Forse, perché l’africano non paga certo le tasse (e Mario glielo fa pesare) e quindi può permettersi prezzi più vantaggiosi lavorando in nero. Questa concorrenza va a frantumare la vita di Cavallaro fatta di abitudini sempre uguali. Stesso bar, stesso alloggio (con un piccolo orticello sul tetto del palazzo, curato maniacalmente), stessa routine o meglio stesso rito in negozio (sempre più vuoto) fino a che le certezze attorno a Cavallaro iniziano a cadere. Il bar di Mario (un altro) viene venduto «all’egiziano del kebab» («Chi mi farà il marocchino?» chiede Albanese? «L’egiziano» risponde l’italiano…). E quando le sicurezze e le certezze crollano emerge il lato vero della persona che può essere anche crudele e cattivo. Dopo aver sedato a tradimento e caricato Oba in auto inizia un viaggio, quasi surreale, di ritorno in Africa. Viaggio a cui si aggiunge la, falsa, sorella di Oba. E durante il viaggio cade il teorema razzista. Il «di merda» diventa Cavallaro, quando decide di abbandonare i suoi due compagni di viaggio. Oppure lo stesso Oba e sua sorella Dalida che invece sono marito e moglie che stanno ingannando Cavallaro, infatuato di Dalida, e si stanno facendo il viaggio di nozze alle sue spalle. Vien fuori quindi che l’essere umano può essere spregevole, e il colore della pelle, il sesso etc passano in secondo piano. Si è buoni o si è crudeli. Il finale forse è un po’ scontato e banale ma l’ultima battuta rimette molte cose in gioco, lasciando pochi punti di riferimento per capire chi sono veramente i buoni in questa storia. Perché in fondo Albanese ci descrive bene, con le nostre buone qualità e con le nostre debolezze. 

Un film un poco fuori dal coro, come spesso e volentieri accade per le produzioni targate Fandango e Procacci, attente sì al botteghino ma con uno sguardo ancor più attento alla qualità e ai temi trattati.