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Stefano Cucchi, un film, una storia vera…

«Sulla mia pelle, l’opera cinematografica (appena presentata al Festival del cinema di Venezia, ndr) che racconta la storia di Stefano Cucchi, mio fratello, è nata da un’idea di Alessio Cremonini due anni fa. Un regista che all’epoca non conoscevo ma che voleva raccontare la tragedia di Stefano. Un film, un monito, mi disse, per eviare nuove tragedie simili e per chiedere giustizia per “i tanti Stefano” che ancora oggi l’attendono», dice a Riforma.it Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, morto nel reparto dell’ospedale Sandro Pertini a una settimana dall’arresto avvenuto il 15 ottobre 2009 per la detenzione di 20 grammi di sostanze stupefacenti.

«Cremonini venne a trovarci a casa mia e di Fabio Anselmo, l’avvocato che segue il nostro caso da sempre e che oltre al nostro segue quelli di altre “vittime dello Stato”. Cremonini, ci raccontò la sua idea di sceneggiatura con gentilezza, rispetto e in punta dei piedi; la sua riservatezza ed onestà ci convinse. Accettammo dunque l’idea di far uscire un film sugli ultimi giorni di vita di Stefano. Certamente la preoccupazione di dover affidare il nostro dolore, il sacrificio di Stefano, la sua persona, nelle mani di qualcuno che in fondo non conoscevamo, era ovvia.

Come avete affrontato questa decisione?

«Abbiamo seguito tutte le fasi della lavorazione del film grazie ai continui aggiornamenti che ci forniva Cremonini, anche in fase di stesura. Di questo bellissimo film, posso oggi affermare a lavoro terminato. Un film che non è altro che la nuda e cruda storia di Stefano, senza orpelli né infingimenti. Una sceneggiatura basata esclusivamente sugli atti processuali».

Ilaria, lei ha immaginato per tanto tempo gli ultimi attimi di vita di suo fratello, quale effetto le ha fatto vederlo nell’interpretazione di Alessandro Borghi?

«Sulla mia pelle è un film vero, così amo definirlo. Un film che non risparmia nulla a Stefano, che non intende nascondere la verità. Verità che io e o la mia famiglia non abbiamo mai celato. Lo abbiamo sempre fatto raccontando quando è stato necessario anche le nostre difficoltà del vivere con Stefano. Non abbiamo mai voluto dipingere Stefano come un “santo”, tantomeno farlo diventare un “eroe”. Anche nel film Stefano è un ragazzo normale, un giovane pieno di talenti meravigliosi ma anche travolto dalla sua infinita fragilità, un ragazzo che lottava con i suoi problemi e la sua dipendenza. Questo film riesce a tirare fuori la personalità di Stefano: una persona semplice, in grado di scherzare, sorridere anche nei momenti più difficili. Mio fratello certamente ha commesso tanti errori, come tanti ne abbiamo commessi noi, ognuno di noi nella vita. L’interpretazione di Borghi è riuscita a restituirmi il mio Stefano, il fratello che non ho potuto sostenere nei suoi momenti più tragici, il fratello che amavo e che in quei momenti era solo, che forse si sentiva estremamente solo. Mi sono sempre chiesta cos’abbia pensato Stefano in quegli attimi, quando non ci veniva dato il permesso di poterlo vedere; quali sofferenze abbia dovuto patire. La prima volta che vidi il film in forma privata – insieme a Fabio il mio compagno e a mio figlio Valerio – la prima telefonata l’ho fatta a Borghi per chiedergli come avesse fatto a rappresentare così bene mio fratello senza neanche conoscerlo. Nell’interpretazione di Borghi rivedo davvero Stefano».

Questo film potrà contribuire al tentativo di giungere a una verità sul caso?

«In tutti questi anni di impegno per giungere alla verità con le testimonianze mie e della mia famiglia, insieme al grande lavoro dell’avvocato Anselmo e della Procura di Roma, ci siamo logorati, stancati in processi che abbiamo dovuto affrontare, direi subire; tuttavia grazie a questi sacrifici siamo riusciti a ricostruire gli ultimi e terribili giorni inflitti a Stefano: quelli dell’arresto e cosa successe quando “era in cura”, come si arrivò alla sua tragica morte. Da sorella e credente, cresciuta nella fede, vivo in me un’angoscia pesante che è quella di non poter sapere davvero come Stefano abbia vissuto  l’ultima fase della sua vita, come abbia affrontato la sua “Passione”».

Una «fiction», però fatta anche con il cuore?

«Posso affermare che se dovevo mettere Stefano nelle mani di qualcuno l’ho messo nelle mani giuste».

Molte critiche positive al film e alcune pesanti accuse: come quella di aver strumentalizzato suo fratello. Come risponde?

«Sono sicura che chi ha visto il film e che è da vedere, non potrà più far finta di nulla o voltarsi dall’altra parte. A chi, invece, fomenta odio e provoca semplicemente non rispondo. Abbiamo dimostrato in questi anni la nostra integrità, di essere una famiglia per bene che non ha mai pensato di voler lucrare sulla spalle di Stefano. Invece, quando mi si accusa di “strumentalizzare” mio fratello rispondo che sì, è proprio così. Stefano l’ho “strumentalizzato” e continuerò a farlo. Proprio perché è necessario farlo ancora oggi, perché tanti sono i casi irrisolti, i morti “affidati nelle mani dello Stato” che ancora aspettano verità e giustizia; perché spero che grazie al “sacrificio” di Stefano si possano risvegliare le coscienze in una società nella quale troppo spesso ci si volta dall’altra parte e si assiste all’azzeramento dei diritti umani e civili. Dunque è necessario, ancora, tramite Stefano, raccontare gli altri Stefano; ossia coloro che nel silenzio e nel disinteresse generale sono costretti in vari ambiti a subire soprusi in nome di presunti interessi superiori e rispetto ai quali sono estranei e disarmati. Oggi preferirei avere mio fratello al mio fianco, darei qualsiasi cosa al mondo per riaverlo, purtroppo non è possibile. Oggi ciò che conta è l’Associazione Stefano Cucchi onlus nata dall’esigenza di creare qualcosa che potesse essere utile a tante persone. Un punto di riferimento per tanti “ultimi” e per coloro che difronte a un sopruso non sanno come reagire. Oggi Stefano vive attraverso l’Associazione e a tante persone che quotidianamente s’impegnano nel suo nome e non lo dimenticano».