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A proposito di Ramie, il vino di montagna delle nostre valli…

Sabato 15 settembre ha avuto luogo in val Germanasca la passeggiata storica del Coordinamento Musei e Luoghi storici valdesi, intitolata «Sul sentiero del Ramìe», a cura del Museo delle Diaconesse di Bovile.

Parlando di colture di montagna, il vino occupa una posizione scomoda e di nicchia, è una coltivazione in condizioni ambientali difficili, sia per il clima che per l’altitudine, la pendenza elevata e la difficile possibilità di meccanizzazione.

I primi documenti di vigneti in val Chisone e Germanasca ci vengono dai conti delle Castellanie di Perosa e della val San Martino del 14° secolo. Si tratta di vitigni autoctoni.

Oltre ai proprietari di Perosa e di Pomaretto, molte famiglie dell’alta val San Martino e della bassa val Pragelato possedevano a Pomaretto la loro vigna, e i lori chabot, provvisti di attrezzatura per la vinificazione: brinda, sibròt, tina, torch, oùire (brente, tinelli, tini, torchio, otri), e di una riserva d’acqua ottenuta convogliando l’acqua piovana del tetto, per preparare le soluzioni antiparassitarie

Per molti secoli la vite ha avuto ampia diffusione nell’indiritto della val Germanasca fra i 600 e gli 800 metri, da Pomaretto a Perrero, con prolungamenti a 1000 metri nel territorio di Maniglia.

In alta valle questa coltura era impossibile. Chi, in economia di sussistenza, scendeva ad acquistare vino, ne poteva avere un litro barattando due chili di patate.

La moltiplicazione delle piantine di vite avveniva in genere «per propaggine», cioè curvando un ramo ed interrandolo per breve tratto facendolo poi uscire dal terreno. Si usava letame e si disponevano fascine di rami. Le piantine erano disposte a file.

 Con l’arrivo della fillossera, insetto di origine americana, a inizio ’900, molti vigneti rimasero distrutti e i vitigni originali furono sostituiti con altri innestati su vite americana con funzione di portainnesti.

Le piante sono ora disposte su linee orizzontali, ma non sono veri filari. Ogni ceppo è autonomo, appoggiato al proprio sostegno. Le viti sono collocate in stretti terrazzamenti che si arrampicano su per la montagna. Dopo la fillossera, non fu più possibile la riproduzione per propaggine e i vitigni invecchiati hanno dovuto essere sostituiti.

La malattia e poi l’abbandono della montagna diedero una deflessione dell’interesse per questa viticoltura. Alla fine degli anni ’90 ci fu un rilancio della coltura Ramìe, grazie a un crescente interesse per i vitigni autoctoni e per i vini rari.

Il Ramìe ricevette nel 1996 il riconoscimento D.O.C.. I vitigni sono coltivati sul territorio a terrazzamento del Comune di Pomaretto e di Perosa Argentina.

Si tratta di un vino rosso con componenti fenolici quale il resveratriolo, molecola ad alto potere antiossidante.

Il suo nome deriva da «Ramì», a proposito delle molte cataste che ne venivano fatte nell’opera di disboscamento per impiantare i nuovi vitigni.

In base al «Catalogo dei vitigni attualmente coltivati nella provincia di Torino» del 1877, è possibile stabilire quale fossero le principali cultivar dei vini prodotti nell’area di Pomaretto e Perosa Argentina.
In queste zone erano principalmente coltivate: a bacca nera (avanà, nei tipi rosso, nero, grosso e piccolo; avarengo, con la varietà grossa; berla ‘d crava, beuna nera, doux d’Enry, lambrusca e lambruschina nera, mogissan, montanara, nerettino nero corvia rossa, pellaverga, dolcetto, perveiral nero, vernaccia nera, plassa, tadone, brunetta); a bacca bianca, buona parte dei quali ancora presenti oggi: (bianchetto, perveiral bianco, priè bianco, chasselas, lignenga, malvasia, moscatello, moscatellone, bolano).

Di questi solamente tre sono le varietà base per la produzione del vino Ramìe: avanà, sempre presente, rustica e di buon vigore vegetativo, a grappoli allungati di colore blu scuro non sempre uniforme; avarengo, molto vigoroso e generalmente poco produttivo (da qui il nome), dalle uve decisamente zuccherine; neretto, noto con innumerevoli nomi tra cui Bourgnin, Nebbiolo di Dronero, ecc. ma ora riconosciuto come chatus; è vitigno rustico e vigoroso che fornisce un’uva ricca di estratto e di colore. Recentemente nel territorio di produzione del Ramìe a Pomaretto sono state attuate delle opere di miglioramento del territorio: realizzazione di un acquedotto per la valorizzazione dei vigneti e, recentemente, un impianto di monorotaia e una pista a servizio dei vigneti.
Oggi sono solo tre i produttori di Ramìe: Franco Bronzat, Giuliano Coutandin e Roberto Ribet e negli ultimi anni si è costituito il Consorzio produttori terre del Ramìe con 10 soci.