sartoria

Merci, non più persone

Il decreto sicurezza e immigrazione del governo è entrato in vigore a fine novembre 2018. A distanza di alcuni mesi è possibile valutare in concreto in che modo sta cambiando l’accoglienza in Italia. Lo facciamo con Loretta Malan, responsabile dell’area migranti della Diaconia valdese.

Più Sicurezza? 

«No, perché l’abolizione della protezione umanitaria e le risposte quasi tutte negative alle richieste di asilo stanno portando migliaia di persone per strada. Persone che oggi perdono ogni assistenza medica e ogni supporto, e che escono dal circuito di accoglienza. La paura della gente di vedere le panchine piene di nullafacenti viene resa concreta dal governo che dice di voler combattere accattonaggio e clandestinità, un paradosso. Il problema viene spostato sugli enti locali, e sono già molti i sindaci che ci chiedono incontri preoccupati degli scenari che si stanno puntualmente realizzando: gente che non ha posti dove andare, a rischio di finire nelle reti della criminalità».

Nel 2018 le richieste di asilo sono crollate a 54 mila, erano 130mila nel 2017. Comprese le pratiche arretrate, nel 2018 sono stati esaminati 94.901 casi. 62 mila le risposte negative (66%, ma a dicembre, primo mese con la nuova legge sono salite a 82%, numeri e percentuali record, era il 52% nel 2017), l’8% ha ottenuto lo status di rifugiato (percentuale invariata), il 21% la protezione umanitaria (abolita dalla nuova norma, a dicembre crolla al 3%, era al 25% nel 2017). Entro il 2020 la sola abolizione della protezione umanitaria produrrà un numero di nuovi irregolari che oscilla fra le 60.000 e 100.000 unità (di questi si stima che meno del 10% verrà effettivamente rimpatriato).

I “famosi” tagli a quanto previsto per l’accoglienza cosa stanno significando?

«Molti bandi di accoglienza e gestione migranti sono in scadenza e i rinnovi avvengono secondo quanto previsto dal nuovo capitolato. I “famosi” 35 € nell’accoglienza diffusa, cioè negli Sprar, diventano 21,35: 7,40 € per il personale, il direttore della struttura, il tutoraggio legale e il mediatore; 3,93 per la casa, affitto, utenze eventuali spese straordinarie (un’inezia); 2,5 € di pocket money, il resto per cibo e igiene personale).

Niente integrazione e niente diritti dunque?«Il supporto legale, fondamentale strumento per aiutare le persone migranti a orientarsi fra le leggi e le regole italiane ed europee, è ridotto a 3 ore settimanale per ogni nucleo di 50 soggetti, impossibile seguire con serietà le cause, e la mediazione culturale a 10 ore settimanali».

Il capitolato non prevede nulla per le spese di gestione, costi amministrativi, eppure i conti bisogna tenerli, le pratiche bisogna farle.Come fare? 

«Incredibile. Quel che è peggio è che nulla viene previsto per corsi di formazione, per trasporti, per laboratori di lingue o di quant’altro, per gli inserimenti lavorativi. Nulla di ciò che significa integrazione in pratica».

Per tutti questi motivi molte cooperative non sono in grado di partecipare ai nuovi bandi e di fatto cessano l’attività di accoglienza. Con quali conseguenze? 

«Le persone migranti vengono quindi prese e convogliate in grandi centri, con totale non cura di percorsi avviati, di integrazione in corso, di presenza a scuola etc. Sono molte già le testimonianze di bambini traumatizzati nell’aver visto da un giorno all’altro il loro compagno di classe sparire perché prelevato con la famiglia e portato altrove da dove aveva iniziato il percorso di integrazione. Come ente e come chiesa difendiamo le cooperative in difficoltà che operano a fronte di crediti altissimi da riscuotere dallo Stato e ora urlano che con queste cifre non potranno proseguire nel loro impegno». 

La Diaconia valdese ha 700 circa persone migranti in carico, 250 nei corridoi umanitari e gli altri fra Cas e Sprar. 120 dipendenti al momento sono impegnati nell’accoglienza. Sono previsti ridimensionamenti?

«Non mettiamo fuori nessuno, questa la nostra scelta, ma è dura. Abbiamo strutture di supporto avviate negli anni come ad esempio gli sportelli mobili, che ci consentono di sopperire in parte al taglio delle spese legali e di mediazione, ma non può durare troppo a lungo tutto ciò.

Si vuole chiudere l’esperienza della accoglienza diffusa, di piccoli nuclei che si integrano nei comuni, e si preferisce la logica dei grandi centri, contenitori in cui stipare tutti, in attesa di espulsioni che non avverranno mai. Abbiamo nell’immediato dei bandi in scadenza in due città, ed è probabile che nei rinnovi dovremmo prevedere dei ridimensionamenti di organico».

Concentrare persone in grandi centri, svuotando l’accoglienza diffusa nei paesi e nelle città è un danno anche per l’economia?

«Tutte persone che spendevano nei paesi in cui si trovavano a vivere, aiutando la piccola economia locale dei negozi, ora non lo fanno più. Solo noi che non siamo enormi abbiamo 150 alloggi in affitto da proprietari privati per l’accoglienza diffusa, un altro meccanismo di circolazione di moneta dunque che viene meno, un colpo alle piccole economie di paese. Ci sono delle incongruenze: il capitolato prevede che il cibo debba essere somministrato o mediante catering o preparato da operatori: altro passo indietro enorme rispetto a quanto ad esempio facciamo noi, che abbiamo sempre spinto i nuclei a organizzarsi da questo punto di vista. Fare la spesa, cucinare gli uni per gli altri, magari ritrovando i piatti tipici dei propri paesi di origine, sono importanti momenti di aggregazione e responsabilità, oltre ad avere anche qui ricadute sul territorio in cui viene fatta la spesa. Ora vige una logica di assistenza pura, vincolata a orari di operatori o di chi somministra il cibo; si specifica che gli alimenti devono essere Ogm free, ma lenzuola e federe devono essere usa e getta con cambio ogni tre giorni e conseguente enorme impatto ambientale e economico, oltre a iterare anche qui una logica assistenziale e di non autonomia. Le persone migranti non possono più cucinare, uscire, pagare i trasporti, partecipare a corsi. Le giornate diventano eterne, vuote.Il capitolato attacca la capacità di autonomia e empowermentdelle persone. Per concludere, il sistema Sprar si è rivelato un modello virtuoso, sensato, che punta su accoglienza diffusa e su autonomia dei soggetti, ma ora titolari della vecchia protezione umanitaria e richiedenti asilo non possono accedervi; possono solo chi ha già ricevuto risposta positiva alla domanda di asilo e i titolari di protezione sussidiaria (pochissimi questi ultimi). Per cui gli Sprar si stanno svuotando ma, altra anomalia, vanno pagati vuoti per pieno, quindi ora con sprechi ingenti, con famiglie per strada e stanze vuote».