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Foreign Fighters francesi condannati a morte in Iraq, una patata bollente per Parigi

Con gli ultimi due casi di lunedì 3 giugno è salito a undici il numero di cittadini francesi condannati a morte in Iraq per appartenenza al gruppo dello Stato Islamico. Sono stati tutti arrestati in Siria e trasferiti in Iraq lo scorso gennaio. I loro avvocati francesi denunciano una «giustizia sommaria», mentre il Ministero degli Esteri assicura che farà tutto il possibile per impedire l’esecuzione della pena di morte, alla quale la Francia si oppone. 

La legge irachena stabilisce che chiunque si unisca a un’organizzazione “terrorista” è punibile con la morte, anche se non ha combattuto. In altre parole, l’appartenenza al gruppo dello Stato islamico è sufficiente per essere condannati alla pena capitale.

Nei loro rispettivi processi a Baghdad, alcuni hanno ammesso di aver combattuto in Siria. Altri avrebbero facilitato l’arrivo di jihadisti europei dal loro paese alla zona iracheno-siriana. 

Alle persone processate la giustizia irachena assegna un avvocato d’ ufficio. «Ma hanno solo un ruolo simbolico. Non hanno accesso ai documenti e non possono parlare con i loro clienti prima del processo. Possono solo sussurrare qualche parola nelle loro orecchie durante l’udienza», lamenta l’avvocato parigino Nabil Boudi. Quest’ultimo difende due dei francesi condannati e si rammarica di non essere stato in grado di render loro visita. «Abbiamo fatto dei passi per arrivarci, ma non abbiamo ottenuto i visti in tempo, specialmente perché abbiamo saputo soltanto il giorno prima che il processo si sarebbe svolto domenica».

Gli avvocati e le associazioni che si stanno interessando al caso criticano anch’essi il carattere “sbrigativo” del processo, con un tempo di udienza che non supera le poche decine di minuti. «L’iniquità dei processi in Iraq è nota. Non ci sono in realtà indagini e le confessioni possono essere estorte, a volte con torture», aggiunge Anne Denis, a capo del Comitato per l’abolizione della pena di morte di Amnesty International. Secondo la Ong nel 2018 sono state pronunciate 271 condanne a morte in Iraq e sono state effettivamente 52 le esecuzioni compiute. «Tra la sentenza e l’esecuzione, ci sono molti passaggi che entrano in gioco. È necessaria la conferma del presidente del tribunale, esistono procedure di ricorso e così via» continua Anne Denis.

La Francia, che ha firmato trattati internazionali contro la pena di morte, assicura che metterà in atto ogni strumento possibile per evitare queste condanne. Jean-Yves Le Drian, ministro degli Esteri transalpino, ha detto martedì mattina all’emittente FranceInter che il «nostro Paese ha moltiplicato gli sforzi per evitare la pena di morte» ai suoi cittadini. Una posizione che dice di aver «ricordato al presidente» iracheno Barham Saleh. Ma questi combattenti «devono essere giudicati dove hanno commesso i loro crimini», ha aggiunto. Mentre i figli dei jihadisti sono rimpatriati col contagocce, la Francia non vuole che gli adulti siano giudicati sul proprio suolo. Nessuna volontà di  lanciare richieste di estradizione, che consentirebbero a questi individui di essere perseguiti in Francia. Interrogato questo mercoledì pomeriggio all’Assemblea nazionale, Jean-Yves Le Drian ha anche affermato che questi francesi hanno avuto un «giusto processo».

Nell’immediato futuro, questi condannati a morte probabilmente non saranno giustiziati. Da un lato, gli avvocati di alcuni di loro hanno già annunciato l’ intenzione di appellarsi – hanno trenta giorni di tempo – con conseguente sospensione del giudizio. D’altra parte, la Francia potrebbe raggiungere un accordo con il governo iracheno e la pena di morte potrebbe quindi essere commutata in detenzione in prigione.

«Chiediamo alle autorità di essere all’altezza dei loro impegni internazionali e anche di garantire che le prove siano giuste», sostiene Anne Denis. Con un solo limite: non è possibile intervenire con la forza nella giustizia di un altro Stato, sovrano in materia.

Ma questo non è abbastanza per Nabil Boudi, che vuole che i suoi clienti siano rimpatriati in Francia per essere giudicati. «Prendo atto della posizione francese. Ma immaginiamo che domani ci sia un potere autoritario in Iraq, l’accordo con la Francia potrebbe non reggere», preoccupa l’avvocato.

La Francia si trova di fronte a un paradosso: non vuole giudicare i suoi cittadini, ma si oppone in linea di principio alla pena di morte. Parigi, quindi, afferma di intervenire “al più alto livello” per impedire che vengano giustiziati – senza tuttavia contestare l ‘”equità” dei processi. 

Henri Leclerc è uno dei 44 avvocati firmatari di un appello pubblicato su Franceinfo volto a denunciare la “inazione” dello Stato francese dopo la condanna a morte di undici dei suoi cittadini, processati in Iraq per la loro appartenenza al gruppo jihadista. Il celebre avvocato, instancabile difensore dei diritti umani, ritiene che l’abolizione della pena capitale sia «un principio assoluto» che non può subire «alcuna eccezione, qualunque sia l’orrore dei crimini commessi. Un principio assoluto che impegna il governo e lo Stato francese, che hanno l’obbligo di agire al più alto livello diplomatico per proteggere i propri cittadini ed evitare questa punizione «inumana e degradante». Non ci può essere eccezione in materia. «Il terrorismo è una barbarie abietta, lo dico forte e chiaro. Ma lo ripeto con la stessa forza: l’abolizione della pena di morte è un principio intangibile che non può conoscere alcuna deroga. Anche l’associazione francese delle vittime del terrorismo ha manifestato la personale ostilità verso la pena di morte e chiede invece a gran forza che i jihadisti siano processati in Francia. 

«La loro esecuzione significherebbe che il governo francese non ha trovato mezzi sufficienti per evitarla. Legalmente, la sua responsabilità sarebbe difficile da stabilire perché non ha alcun potere su come viene gestita la giustizia in Iraq, un paese sovrano. Ma la sua azione, o meglio la sua inerzia, offenderebbe i principi fondamentali che abbiamo emanato. La sua azione deve riguardare le relazioni internazionali; se non agisse con il vigore necessario, il governo avrebbe commesso un errore morale e diplomatico; sarebbe una grande vergogna per il nostro paese. Su tale argomento, la voce della Francia deve essere forte, l’interpellanza deve essere portata al massimo, la portata della protesta deve essere considerevole» conclude Leclerc.

I tribunali iracheni hanno già processato centinaia di stranieri sospettati di far parte dello Stato Islamico, ma finora non è stata eseguita alcuna condanna a morte. Il problema principale è che i paesi di provenienza, tra cui molti europei, non vogliono riaccogliere i propri cittadini andati a combattere all’estero, per ragioni legate alla sicurezza nazionale e a opportunità politiche.

 
Foto: Army Staff Sgt. Timothy R. Koster