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Hanno fatto un deserto e l’hanno chiamato “Patrimonio dell’Umanità”

Colli Berici e dintorni, vicentino.

 Scrivo con le finestre ben chiuse, sigillate. In passato questa zona collinare si poteva definire bucolica, eco-compatibile. Ma ormai – grazie alla scarsa lungimiranza di amministratori e abitanti – è infestata dai cattivi spiriti. Sotto forma e aspetto di fabbriche (anche di plastica), allevamenti intensivi (di polli, poveri…) e ovviamente della monocultura vinicola a conduzione industriale. 

Là fuori quello con lo scafandro (in sostituzione della vecchia maschera con doppio filtro: era troppo poco?) imperversa annaffiando con l’aerosol chimico (per la venticinquesima volta quest’anno, se non ne ho persa qualcuna). E ovviamente non selettivamente. Oltre al vigneto, anche alberi, siepi, orti e abitazioni circostanti. Sarà magari un caso, una coincidenza. Eppure proprio ieri Mario mi informava – leggermente allarmato – che questo è il primo anno (dei suoi settanta) in cui le rondini, pur essendo arrivate in marzo al loro abituale granaio (poche, sempre meno…), non hanno ancora deposto uova e allevato piccoli.

Avrà a che fare con i cambiamenti climatici o con l’aumento esponenziale di fitofarmaci (leggi: veleni) spruzzati sui vigneti che ormai si espandono, a scapito di boschi e siepi, su ogni campo e crinale disponibile? Forse con entrambe le cause, in una micidiale sinergia.

Nel Veneto – si sa – questa è ormai ordinaria amministrazione.

L’ultima denuncia proveniva dalla popolazione locale ed è stata raccolta e diffusa da Silvia Benedetti e Sara Cunial. A Miane (provincia di Treviso) un bosco di 8mila metri quadri (e ricco di fauna e flora) dal 23 luglio viene sradicato per sostituirlo col solito vigneto. Già in precedenza il consigliere regionale del Pd, Andrea Zanoni, era intervenuto accusando con forza la regione di aver autorizzato questo «disboscamento in area Unesco per far spazio ad una nuova piantumazione di viti». In aperta polemica con le politiche agricole venete di Zaia. Sulla stessa lunghezza d’onda si sono ora mosse le due esponenti politiche del Gruppo Misto intervenendo alla conferenza stampa (“Per un PAN a tutela di cittadini, agricoltori e territorio”) che si è svolta il 30 luglio alla Camera dei Deputati.

Chiedendo un cambio radicale – una riconversione – del modello agricolo in quanto «quello dei pesticidi è un problema non più rinviabile. Per affrontarlo non basta qualche divieto estemporaneo e qualche annuncio di bandiera. Ciò che occorre è una visione sistemica che preveda una ristrutturazione dell’intero settore agricolo. Solo attraverso una riconversione del nostro modello produttivo verso sistemi sostenibili e agroecologici saremo in grado di superare un’agricoltura ormai anacronistica, tossica e lesiva non solo degli ecosistemi e dell’ambiente ma anche dell’economia e delle persone, agricoltori in primis». 

 Dopo aver visto e toccato con mano le conseguenze deleterie prodotte dalle monoculture e dai fitofarmaci in Veneto, è «impensabile – hanno spiegato le due deputate – continuare a puntare su monocolture e fitofarmaci».

Quello Veneto è un caso emblematico. Vitigni intensivi e estensivi provocano l’inquinamento dei suoli e la contaminazione dell’acqua e dell’aria. Sono già migliaia le famiglie che – vivendo in zone di campagna – sono costrette a segregarsi in casa per non inalare, respirando, sostanze tossiche. Oppure ad andarsene, magari in città come Treviso dove – paradossalmente – il livello di inquinamento risulta minore.

 Ovviamente ai bambini è impedito giocare in giardino (non parliamo nemmeno di passeggiare per i campi, come ai miei tempi…) e le patologie correlate ai fitofarmaci sono in continuo aumento (tumori in primis). Ormai quello operante in Veneto si può tranquillamente definire un modello agricolo criminale, supportato da una politica miope.

E appunto da Miane (nel cuore della zona Unesco) a fine luglio era arrivata l’ennesima brutta notizia. Proprio in quello che fantasiosamente si è voluto incoronare come “Patrimonio dell’Umanità” (e che Zaia aveva promesso di valorizzare), un intero bosco su una collina sottoposta a vincolo idrogeologico viene divelto per dare altro spazio al prosecco da vendere a inglesi, russi e cinesi. Potenza del “sovranismo” in salsa veneta!