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Avv. Valenzi: bene la Cassazione su religione figli di separati

Dopo la separazione di due coniugi, il figlio minore è stato affidato congiuntamente ai due genitori, con residenza presso la madre e diritto di visita del padre. In seguito, è emerso un contrasto fra i genitori circa l’educazione religiosa del figlio, inizialmente avvenuta in ambito cattolico, secondo la confessione paterna, e successivamente in ambito cristiano geovista, confessione cui aderisce, invece, la madre. Dopo due ricorsi, la Cassazione si è pronunciata con una sentenza che ha dato priorità all’interesse superiore del minore e alla libertà religiosa come diritto inviolabile.

L’Agenzia NEV ha chiesto a Ilaria Valenzi, consulente legale della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), di commentare la sentenza:

«La questione arriva in Cassazione dopo due pronunce di merito negative per la madre del ragazzo, testimone di Geova. In entrambe le pronunce leggiamo alcune affermazioni decisamente “forti”. Il Tribunale di primo grado, infatti, ha negato il diritto della madre a portare il figlio alle riunioni della sua congregazione, preferendo per il ragazzo la frequentazione dell’educazione religiosa cattolica almeno fino alla cresima, per poter poi da adulto fare una scelta consapevole (consapevole perché in grado di comprendere il significato, ad esempio, dei sacramenti cattolici). Di più: lo stesso Tribunale, pur affermando di non voler discriminare nessuno per via dell’appartenenza religiosa, ha affermato che la scelta del padre (e cioè l’educazione cattolica) fosse maggiormente rispondente all’interesse del figlio, perché:

  1. gli avrebbe consentito di integrarsi nel tessuto sociale e culturale con più facilità essendo tale contesto, benché secolarizzato, di indubbia matrice cattolica (e porta come esempi: il patrimonio artistico, le iniziative dell’oratorio e del catechismo, il centro estivo parrocchiale, il cosiddetto GrEst, etc.).
  2. Sui testimoni di Geova, “pur con il dovuto rispetto – si era pronunciato il Tribunale –, non può sottacersi la natura settaria della comunità religiosa cui ella aderisce, chiusa in sé stessa e ostile al confronto con qualsivoglia altro interlocutore, essendo legata a una interpretazione formalistica e parziaria di taluni testi vetero-testamentari, che non ha ispirato (almeno in Italia) alcun prodotto letterario o artistico avente dignità culturale”.

Il problema sarebbe quindi che i testimoni di Geova non hanno inciso sul piano culturale. Pertanto il Tribunale ha ordinato alla madre di astenersi dall’impartire l’educazione geovista al figlio.

A questo punto la madre ha presentato ricorso in appello, sulla base anche della violazione del principio di laicità e altri principi costituzionali. La sentenza di primo grado non indica in che cosa potesse consistere il pregiudizio subito dal figlio e lede inoltre il principio della bigenitorialità e il diritto della madre a trasmettere al figlio i propri valori. A sua volta il padre si è difeso sostenendo che il bambino era stato battezzato cattolico su comune decisione dei genitori.

Proprio quest’ultimo punto è stato fondamentale per la sentenza della Corte d’Appello, che ha sostenuto fosse più nell’interesse del minore mantenere la scelta che inizialmente i genitori, con il battesimo cattolico, avevano fatto, senza introdurre contemporaneamente la formazione relativa ad altre religioni.

Arriviamo alla Cassazione, che dice cose importanti:

  • Rientra nel diritto di libertà religiosa anche il diritto di cambiare religione. Pertanto sbaglia la Corte d’Appello ad ancorare la sua decisione ad una scelta pregressa della madre.
  • Non si possono emanare provvedimenti restrittivi (non frequentare una determinata religione) sulla base di mere affermazioni (ad es. non creare confusione nel minore, non disorientarlo, non appesantirlo etc.), senza di fatto aver provato in che modo la religione della madre fosse pregiudizievole per il minore (a parte sulla base di un ‘pregiudizio’ nei confronti di quella specifica religione).
  • È di fondamentale importanza ascoltare il minore.

La corte di Cassazione così si esprime.

La decisione deve essere presa sempre nella salvaguardia dell’interesse superiore del minore, che ha il diritto di crescere in modo sano ed equilibrato.

Ciò può comportare anche eventualmente dei provvedimenti restrittivi riguardo all’educazione religiosa che, in quanto tali, restringono i diritti individuali di libertà dei genitori (cioè in questo caso del diritto di libertà religiosa della madre di trasmettere al figlio i suoi valori religiosi), se ciò comportasse dei rischi per lo sviluppo psico-fisico del minore e per la sua crescita equilibrata.

Tuttavia, tali provvedimenti restrittivi non possono essere presi sulla base di una valutazione astratta delle religioni cui aderiscono i genitori e cioè su un giudizio di valore che il giudice esprima, in evidente contrasto con i principi costituzionali ed europei in tema di diritti. Né tanto meno è possibile basare tali provvedimenti sul fatto che originariamente la religione che è stata trasmessa al figlio fosse quella cattolica e comune ai genitori, perché ciò lederebbe il diritto del figlio a mantenere un rapporto equilibrato paritario con entrambi i genitori (anche se questi cambiano idea nel corso della loro vita).

Pertanto, la libertà religiosa dei genitori e il loro diritto all’esercizio del ruolo educativo possono essere ristretti solo se c’è un accertamento in concreto del pregiudizio ai danni del figlio e tale accertamento può essere compiuto solo se il minore viene ascoltato e vi è osservazione dei suoi comportamenti, in modo da stabilire se stia subendo delle conseguenze pregiudizievoli che ne compromettano la salute psico-fisica e lo sviluppo.

Mi sembra che questa pronuncia sia importante perché pone al centro della decisione l’interesse superiore del minore. Tale interesse non necessariamente consiste nel non fare esperienza di altre forme religiose, oltre a quelle culturalmente più conosciute o in generale a quelle cui la famiglia in origine culturalmente appartiene o che in origine la coppia genitoriale sceglie (in questo caso con il battesimo in chiesa cattolica). Se c’è un rischio di pregiudizio, questo deve essere individuato in concreto e non sulla base di mere affermazioni o sentito dire o, peggio, sulla base di convinzioni latamente discriminatorie.

Nella memoria con cui il Pubblico Ministero ha chiesto l’accoglimento del ricorso presentato dalla madre ci sono una serie di affermazioni che la Cassazione fa proprie: il matrimonio si fonda sull’eguaglianza giuridica e morale di (entrambi!) i coniugi; il diritto di libertà religiosa è uno dei diritti inviolabili dell’uomo, che si esprime anche nelle formazioni sociali e, perciò, anche in famiglia; il diritto di libertà religiosa è espressione del principio di uguaglianza tra individui (articolo 3 della Costituzione) e tra confessioni (articolo 8 della Costituzione). La libertà religiosa è affermata per tutti all’articolo 19 della Costituzione. Essendo pertanto il diritto di entrambi i genitori, appartenenti a due confessioni diverse, paritario, ma non essendo loro in grado di superare lo stallo, a decidere deve essere il giudice, che lo farà previo ascolto del minore, teso alla verifica che non ci sia alcun pregiudizio nei suoi confronti che possa giustificare un eventuale provvedimento restrittivo».