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La stampa evangelica: solidarietà a Nello Scavo

La Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi), l’Associazione Lombarda dei Giornalisti e Articolo21 oggi pomeriggio alle 15 porteranno la loro solidarietà a Nello Scavo (giornalista d’inchiesta) e all’intera redazione di Avvenire.

Solidarietà e vicinanza è ststa inviata al giornalista Nello Scavo, alla redazione e al direttore Marco Tarquinio (e alla collega Nancy Porsia, anch’essa minacciata dal trafficante libico), dal Servizio Stampa (Agenzia Nev) Radio (Culto evangelico Rai radio Uno) e Televisione (rubrica Protestantesimo Rai 2) della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), che si è riunito ieri per il Comitato di redazione insieme al Settimanale e quotidiano online Riforma e a Radio Beckwith evangelica.

«Abituati a notizie-pettegolezzo, retroscena inventati, articoli insipidi, quando un giornalista esce con un pezzo serio, documentato e che va in profondità, finisce sotto scorta. Purtroppo è successo a Nello Scavo, cronista dell’Avvenire. Un fatto grave che dovrebbe preoccupare ogni giornalista», rileva Danilo de Biasio, direttore del Festival dei diritti umani e portavoce del Circolo Articolo21 Lombardia, nel suo editoriale pubblicato oggi sul sito che difende la libertà di stampa dedicato all’articolo 21 della nostra Costituzione www.articolo21.org .

L’inchiesta di Scavo ha svelato su Avvenire quanto le autorità italiane «pur di tener lontano dalle coste i migranti», abbiano interagito con personaggi libici «sospettati di essere trafficanti di esseri umani».

La notizia, «intuibile, ma sino ad ora mai dimostrata», è emersa grazie al lavoro d’inchiesta del giornalista che ha pubblicato i dettagli del viaggio in Italia di Abdul Rhaman Milad detto Bija: «Un ufficiale della Guardia Costiera della zona di Zawyia, nell’Ovest della Libia».

Un viaggio che ha portato l’«invitato ufficialmente», prosegue De Biasio, «Bija al Viminale. Sarebbe come invitare Al Capone a Fort Knox. Bija è sospettato di ricevere i soldi in virtù del memorandum appena confermato fra Tripoli e Roma, per fermare le partenze dei migranti e contemporaneamente prendere le mazzette dalle milizie amiche per gestire il traffico di migranti. Non è una notizia di poco conto».

Per averla pubblicata, Nello Scavo «è stato minacciato così seriamente da indurre il Viminale a dargli una scorta».

Dunque oggi, arriverà la solidarietà al giornalista da amici, colleghi, e associazioni di categoria: la Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi), l’Associazione Lombarda dei Giornalisti e Articolo21 «alle 15 a Scavo e all’intera redazione di Avvenire porteremo la nostra vicinanza: se non ci indigniamo per le minacce – prosegue De Biasio –, se non ci mettiamo anche fisicamente al fianco dei colleghi sotto scorta, se non riprendiamo le loro inchieste per farle conoscere a sempre più persone, se non facciamo tutto questo la diamo vinta ai violenti, a chi vorrebbe usare la forza per continuare nei suoi sporchi traffici. Quest’atteggiamento dovrebbe riguardare tutti i giornalisti anche chi lavora in giornali “avversari”».

Invece, afferma ancora De Biasio «viviamo tempi in cui la solidarietà per alcuni riguarda solo chi è omogeneo. Le immagini ripugnanti dei senatori delle destre che si rifiutano di applaudire una sopravvissuta ad Auschwitz (la senatrice Liliana Segre, ndr) che a 90 anni trova la forza di impegnarsi contro l’hate speech, dicono anche questo: l’intelligenza è asservita allo schieramento».

Nel 2018, prosegue l’articolo, secondo Reporters sans frontières sono stati assassinati 80 colleghi, 15 in più del 2017. 348 sono finiti in carcere, 22 in più dell’anno scorso.

«Dunque – conclude De Biasio –, il giornalismo può infastidire ancora chi ha qualcosa da nascondere. I mandanti di questi delitti sono leader politici, uomini di chiesa, manager, capi di milizie. Afghanistan, Siria, Messico, India e Stati Uniti sono le nazioni con più giornalisti uccisi nel 2018. Iran, Arabia Saudita, Egitto, Turchia e Cina, sono i paesi con più reporter finiti dietro le sbarre. Se intrecciate i dati, emerge chiaramente che si muore di più perché ci sono più conflitti in corso, perché nelle guerre asimmetriche non è più chiaro dov’è il campo di battaglia e chi sono i combattenti, ma anche si rischia di più perché il linguaggio si è imbarbarito fino ad arrivare ad indicare il giornalista come uno scomodo testimone da silenziare. Se in Italia non siamo arrivati a questo punto è anche perché chi viene minacciato trova i colleghi che si stringono al suo fianco. Non è una passerella, è un’assicurazione sulla vita di tutti noi».