brexit_auf_wegweiser_47265383782

Ex post Brexit: e adesso cosa accadrà?

E adesso? Spentesi le note del Valzer delle candele, canto scozzese usato tradizionalmente per i congedi, intonato dagli europarlamentari dopo il voto di approvazione dell’accordo di recesso del Regno Unito dall’Unione europea e ammainate dalle vie di Londra le Union Jack, fatte issare dal Primo Ministro Boris Johnson per celebrare l’evento, ci si interroga su quale futuro attenda i sudditi di Sua Maestà e su che cosa cambierà per i cittadini dell’Unione europea. 

In primo luogo, va precisato che sebbene il recesso si sia perfezionato a fare data dal 1° febbraio 2020 e i rappresentanti del Regno Unito siano usciti da tutte le Istituzioni dell’Unione europea, ci attende un periodo transitorio, che durerà fino al 31 dicembre 2020, in cui nulla di sostanziale muterà per i cittadini e le imprese. Si potrà continuare ad andare nel Regno Unito con la Carta d’identità e senza visto e la circolazione delle merci proseguirà senza essere soggetta a dazi e a misure restrittive. Il Regno Unito pagherà il suo contributo economico all’Unione europea e ne riceverà i relativi benefici. 

Durante questi undici mesi sarà avviato un negoziato per definire i futuri rapporti commerciali tra il Regno Unito e l’Unione europea e ogni pendenza derivante dalla separazione. L’esito di questi negoziati, il cui avvio è previsto il prossimo 3 marzo, sarà un accordo internazionale e come tale soggetto a ratifica. L’obiettivo è ambizioso, ma anche poco realistico perché il tempo a disposizione è poco e le questioni controverse sono, come si è visto durante questi ultimi tre anni e mezzo, molte e spinose. Sono questioni tecniche intricate che devono essere risolte per riordinare rapporti retti da regole approvate e applicate nell’arco di ben 47 anni, ossia dall’ingresso del Regno Unito, nell’allora Comunità economica europea (Cee), il 1° gennaio 1973. Il rischio, dunque, di una hard Brexit, ossia di un recesso duro e puro, non è scongiurato e, anzi, appare piuttosto verosimile. In assenza di un accordo, infatti, non è previsto che si vada a un’estensione del periodo transitorio. Senza accordo, dal 1° gennaio 2021, il Regno Unito sarò uno Stato terzo rispetto all’Unione europea, molto più di quanto lo siano oggi la Svizzera o la Norvegia, ma anche la Macedonia del Nord o l’Albania, tutti Stati legati all’Unione europea da accordi commerciali ampi e completi.

Ci sono poi le questioni politiche, solo apparentemente risolte. Per ottenere la firma dell’Accordo di recesso, il Primo Ministro Boris Johnson, forte di una maggioranza parlamentare con numeri che non si vedevano da decenni, ha accettato che l’Irlanda del Nord resti indefinitamente nel Mercato unico, così evitando di ricostituire una frontiera fisica, fatta di controlli a persone e merci, con la Repubblica di Irlanda, ma, in pratica, creandola tra l’Irlanda del Nord e il resto del Regno Unito. La Scozia, guidata dall’intraprendente Nicola Ferguson Sturgeon, leader dello Scottish National Party, ha già dichiarato di volere un nuovo referendum con l’ambizione di rientrare nell’Unione europea come Stato indipendente. Vi è anche la piccola Gibilterra che non ha nulla da guadagnare e molto da perdere dal nuovo scenario rispetto a una Spagna meno disponibile, a questo punto, a rimandare l’annosa questione del destino della Rocca e dei suoi abitanti.

Quali effetti avrà il recesso del Regno Unito rispetto, più in generale, al processo di integrazione europea che va avanti ormai da settant’anni?

Innanzitutto, è la prima volta che viene rotto il dogma dell’irreversibilità del processo di integrazione. Si tratta, infatti, del primo caso di recesso di uno Stato, a fronte di 22 ingressi, a partire dall’iniziativa presa, agli inizi degli anni ‘50, da parte di sei Paesi (tra i quali l’Italia) di incamminarsi verso una progressiva integrazione dei rispettivi interessi economici e politici. Costituisce, dunque, un precedente la cui portata è ancora da decifrare. In secondo luogo, un’Unione europea senza Regno Unito sarà certamente più debole nel contesto internazionale e nelle relazioni commerciali e politiche con gli Stati degli altri continenti. 

Possiamo scorgere qualcosa di positivo? Di certo non equivalente e che consenta di riequilibrare un evento che resta negativo. Ci sarà, ragionevolmente, più coesione tra i 27 Stati rimasti e, forse, un nuovo impulso all’integrazione, come lasciato intendere dal presidente francese Emmanuel Macron. L’Italia potrà avere, in questo nuovo scenario, un ruolo da protagonista, visto che, insieme alla Germania e la Francia, è tra i tre Stati demograficamente ed economicamente più rilevanti. Un’opportunità che implica un’assunzione di responsabilità, soprattutto a livello politico, e che ci deve trovare pronti.