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In Siria nessun luogo è al sicuro

I tentativi delle Nazioni Unite di proteggere alcuni luoghi dal conflitto in Siria non hanno funzionato. È quanto emerge dal sommario presentato lunedì 6 aprile dal Segretario Generale dell’Onu, António Guterres, a corredo del rapporto pubblicato dalla Commissione d’Inchiesta sulla Siria, istituita nell’agosto del 2019.

A luglio, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite aveva presentato una richiesta formale a Guterres chiedendo di avviare un’indagine sugli attacchi aerei condotti su strutture sanitarie nel nord-ovest del Paese, nelle zone più instabili di questa fase di una guerra iniziata nel marzo del 2011. Le strutture, in particolare, erano sostenute dalle Nazioni Unite, oppure presenti nella cosiddetta “lista di disarmo” (deconfliction list), il sistema ideato nel 2018 dall’Onu per cercare di prevenire attacchi sulle strutture sanitarie o di interesse umanitario nelle aree controllate dall’opposizione al governo di Damasco.

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Il “sistema umanitario di disarmo” si basa su alcuni principi certamente condivisibili ma troppo fragili per un contesto in cui il diritto internazionale, per tacere di quello umanitario, è stato completamente ignorato sin dall’inizio della guerra. Innanzitutto, il sistema di condivisione della posizione delle strutture era stato istituito su base volontaria, e un documento preparato dall’agenzia al momento dell’istituzione  avvertiva che la partecipazione al sistema non avrebbe garantito la sicurezza dei siti o del loro personale. Il documento affermava inoltre che le Nazioni Unite non avrebbero verificato le informazioni fornite dai gruppi partecipanti e non avrebbe richiesto alle parti in causa, rappresentate a livello diplomatico da Russia, Turchia e Stati Uniti, di confermare la ricezione di queste posizioni.

E così, quando lunedì 6 aprile l’Onu ha presentato i risultati dell’indagine condotta tra settembre 2019 e marzo 2020, la sensazione è che tutto fosse già scritto. «L’impatto delle ostilità sui siti civili e umanitari nel nord-ovest della Siria è un chiaro promemoria dell’importanza per tutte le parti in conflitto di osservare e garantire il rispetto del diritto internazionale umanitario», ha dichiarato Guterres in una lettera a José Singer Weisinger di la Repubblica Dominicana, presidente del Consiglio per aprile. «Secondo numerosi rapporti, le parti in conflitto non hanno rispettato questa indicazione». In particolare, il riferimento di Guterres è alla chiara distinzione tra civili e combattenti e tra obiettivi militari e obiettivi civili. Indicazioni che sarebbe ovvie, se le guerre degli ultimi 30 anni non avessero cancellato quella distinzione in nome della “lotta asimmetrica”.

Il rapporto spicca inoltre per un’assenza, quella degli attori internazionali: infatti, nelle 185 pagine si citano Russia, Turchia e Stati Uniti come interlocutori e partecipanti alla stesura della lista di disarmo, ma quando si arriva alle responsabilità degli attacchi, questi Paesi scompaiono, per lasciare spazio al governo di Damasco, ai gruppi di opposizione e ai gruppi jihadisti, come Hayat Tahrir al-Sham (nota in passato come Jabat al-Nusra, il ramo siriano di al-Qaeda).

Proprio per questo, e in particolare per l’assenza della Russia tra i responsabili, il rapporto è duramente criticato da diversi gruppi per la difesa dei diritti umani, come Human Rights Watch, che ha definito “profondamente spiacevole” questa scelta.

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Va chiarito che lo scopo del rapporto è probabilmente una delle cause dei suoi risultati. Secondo il direttore di Human Rights Watch, Kenneth Roth, il mandato era «troppo ristretto» e l’inchiesta ha prodotto «un rapporto meschino», e accusa che si sia fatto di tutto «per evitare di offendere la Russia, il principale colpevole insieme alla Siria».

La commissione d’inchiesta ha indagato su sei bombardamenti condotti tra aprile e giugno 2019 nel governatorato e nella città di Idlib, un numero esiguo rispetto alla portata degli attacchi nell’area, che rappresenta da anni una linea del fronte, mascherata di tanto in tanto da “zona di alleggerimento” o “zona cuscinetto”. In origine, i luoghi da esaminare erano sette, ma l’ospedale di Al-Suqylabiyah, nel governatorato di Hama, colpito il 26 maggio 2019, era stato escluso perché non presente nella lista di disarmo e non supportato dalle Nazioni Unite.

Alla luce delle informazioni ottenute, si ritiene “plausibile” o “probabile” che cinque attacchi siano stati condotti dalle forze armate di Damasco o dai suoi alleati, mentre si ritiene “probabile” che dell’attacco al campo palestinese di Nayrab, nei pressi di Aleppo, avvenuto il 14 maggio 2019, siano responsabili i jihadisti di Hayat Tahrir al-Sham. Tuttavia, si ritiene che questi sei luoghi siano appena un decimo di quelli colpiti negli ultimi 12 mesi nella regione, tra ospedali, strutture per rifugiati, centri di protezione per l’infanzia e strutture educative.

Nel preparare la sua relazione, la commissione d’inchiesta non ha prodotto conclusioni legali né ha preso in considerazione questioni di responsabilità legale. Inoltre, come sottolineato dallo stesso Guterres, non è stato in grado di visitare nessuno dei siti oggetto dell’indagine, perché il governo siriano non ha mai risposto alla richiesta di farlo. Il rapporto, dunque, è interamente basato su testimonianze di varie agenzie delle Nazioni Unite, di organizzazioni governative e di immagini satellitari dell’Istituto delle Nazioni Unite per la formazione e la ricerca (UNITAR).

Di fronte a una relazione così debole, a un rapporto così ristretto e ai risultati ottenuti, non si può fare altro che chiedersi se ci sia ancora spazio, nelle pieghe della guerra siriana, per il diritto internazionale. A oggi quello spazio, compresso tra interessi nazionali e soluzioni esclusivamente militari, sembra essere niente più che una fantasia.

 

Foto: Marco Magnano, Siria, settembre 2018