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Diecimila anni di carcere pur di non imbracciare le armi

Una notizia ANSA di qualche giorno fa ha messo in luce una tematica poco conosciuta: il contributo dei Testimoni di Geova in Italia al riconoscimento del diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare. 

Oggi la giurisprudenza internazionale riconosce l’obiezione di coscienza come uno dei diritti umani fondamentali, ma non è stato sempre così. I Testimoni di Geova hanno sempre ritenuto il servizio militare incompatibile con la loro religione.

Secondo uno studio, basato sulle testimonianze di chi ha praticato l’obiezione di coscienza prima che questa fosse consentita dalla legge del 1972, è emerso che, tra i Testimoni di Geova italiani attualmente in vita, almeno 14.180 hanno dovuto scontare una condanna per aver rifiutato di prestare servizio militare. Ciò avvenne in larga parte tra la fine degli anni ’60 e la fine degli anni ’90. In totale, i partecipanti al sondaggio hanno trascorso in carcere 9.732 anni.

I Testimoni di Geova costituirono «la stragrande maggioranza dei giovani incarcerati per essersi rifiutati di svolgere il servizio militare», commenta lo storico Sergio Albesano. «Con la loro massiccia adesione al rifiuto di entrare nelle fila dell’esercito, di fatto crearono un caso politico e aiutarono a portare il problema all’attenzione dell’opinione pubblica». Bruno Segre, avvocato e giornalista, patrocinò nel processo dinnanzi al Tribunale Militare di Torino il 31 agosto 1949 il primo obiettore di coscienza per motivi politici, il pacifista laico Pietro Pinna. Fu proprio questo processo che lo spinse ad impegnarsi nella battaglia giudiziaria finalizzata alla sostituzione del servizio militare con il servizio civile.

«I miei patrocinati nel corso di oltre 20 anni furono quasi tutti Testimoni di Geova che io ammiravo – a prescindere dalla loro fede religiosa del tutto estranea al mio laicismo – per il loro assoluto rispetto delle idealità pacifiste, per il loro altissimo livello morale. Ricordo quattro di essi, ciascuno dei quali scontò 4 anni consecutivi di reclusione per effetto di ripetute sentenze di condanna. Cioè sacrificarono in carcere la loro giovinezza», afferma Segre.