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Il Sudan vieta le mutilazioni femminili e cancella l’apostasia

Dopo 37 anni, era il 1983, la Sharia viene abolita in Sudan. Una tappa storica resa possibile da un processo di riforma avviato dopo la destituzione lo scorso anno del dittatore Omar al-Bashir, alla guida del paese africano per 30 anni, dal 1989, prima di venire cacciato nell’aprile 2019 dopo mesi di proteste. Il governo di transizione attualmente in carica ha promesso di condurre il Paese alla democrazia.
L’annuncio è stato dato dall’attuale ministro della Giustizia Nasreddine Abdelbari.

Le novità sono tutte estremamente significative: intanto vengono vietate le mutilazioni genitali femminili, pratica ancora ampiamente diffusa e che riguarderebbe 9 donne su 10 nel paese. Ora saranno previste pene fino a tre anni di reclusione per chi perpetua tale pratica. Lo scorso novembre il governo aveva già abolito una legge che imponeva alle donne di coprirsi in pubblico. Le donne non avranno inoltre più bisogno della presenza del marito per potersi muovere in spazi pubblici insieme ai propri figli, e vengono abolite le pubbliche fustigazioni.

Viene inoltre cancellato l’articolo 126 del codice penale che riguardava il reato di apostasia, il ripudio del proprio credo, che in Sudan significa l’Islam, e che prevedeva la pena di morte. Tristemente noto il caso di Meriam Yehya Ibrahim, una donna incinta condannata all’impiccagione nel 2014 perché aveva sposato un cristiano. Il mondo si mosse per salvarla e alla fine la donna è riuscita a lasciare il Paese.

Cancellata anche la norma che vieta il consumo di alcolici ai non musulmani (il 3% circa della popolazione, mentre il divieto rimane per i fedeli musulmani).