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Nessuna crisi per gli armamenti

Secondo gli ultimi calcoli del Fondo Monetario Internazionale, nel 2020 il Prodotto Interno Lordo globale ha visto un calo del 4,4%. La notizia ha poco di sorprendente, trattandosi dell’anno che, a partire da marzo, è stato interessato dall’effetto travolgente della pandemia da Covid-19.

Quello che sorprende è che invece la spesa militare globale è cresciuta nello stesso anno del 2,6%. Lo si legge nel rapporto dell’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma (SIPRI nell’acronimo inglese), pubblicato a fine aprile. Nel corso del 2020 le spese per gli armamenti hanno toccato i 1981 miliardi di dollari. Il 62% di questa cifra è rappresentato da Stati Uniti, Cina, India, Russia e Regno Unito, ma tra questi spiccano in particolar modo i primi due: gli Usa da soli hanno speso 778 miliardi di dollari, il 39% del totale mondiale e il 4,4% in più dell’anno precedente; la Cina ha speso 252 miliardi, segnando, l’1,9% in più del 2019.

L’Italia compare tra i primi 15 paesi di questa classifica, con spese che rappresentano l’1,5% del totale, sebbene si faccia notare che sia tra i pochi paesi ad aver diminuito le proprie spese militari rispetto al 2011. A livello europeo, la spesa del 2020 eccede di quattro punti percentuali quella dell’anno precedente. All’interno del rapporto viene anche fatto notare che un aumento globale del genere non si verificava dal 2009, suggerendo una inquietante tendenza ad aumentare le spese militari in risposta alle crisi economiche.

Negli stessi giorni Rete Pace e Disarmo pubblicava i dati relativi all’export di armi dall’Italia. Secondo questi numeri, nel 2020 il totale delle nuove autorizzazioni rilasciate per esportazione di materiale d’armamento ha toccato i 3.927 milioni di euro, segnando quindi un calo del 25%, piuttosto netto, rispetto al totale per il 2019. Nel documento viene però fatto notare che il principale acquirente di armi italiane resta l’Egitto, come già era accaduto l’anno precedente, confermando per l’ennesima volta l’opacità dei rapporti tra Italia e stato nordafricano. D’altra parte l’Egitto figurava in un altro rapporto di SIPRI legato all’export internazionale di armi, dove si notava che il paese, assieme ad Arabia Saudita e Qatar, fosse tra i paesi la cui spesa per l’acquisto di armi fosse cresciuto di più negli ultimi anni.

In opposizione alle spese militari e al commercio di armi, sta proseguendo la campagna Un’altra difesa è possibile, che chiede l’istituzione di un Dipartimento della difesa civile non armata e nonviolenta e che a questo fine sta portando avanti un percorso affinché venga discussa una proposta di Legge in tal senso. Il 10 maggio una delegazione dell’iniziativa (sostenuta da numerosi reti ed enti, come la stessa Rete Pace e Disarmo) è stata ricevuta dal presidente della Camera Roberto Fico.

Il percorso appare lento e accidentato, nonostante le indicazioni di un sondaggio reso noto qualche giorno fa da Greenpeace. Condotto dal 15 al 19 aprile per conto dell’ente ambientalista dall’istituto di ricerca YouGov, ha sondato la popolazione dei quattro maggiori esportatori europei di armi, ovvero Germania, Francia, Spagna e Italia. Secondo questi risultati, la maggior parte degli intervistati non ritiene che l’esportazione di armi porti benefici alla comunità, mentre percentuali ancora più alte criticano la vendita di materiale bellico a paesi dittatoriali, che violano diritti umani o sono coinvolti in guerre. Un quarto degli italiani intervistati si dichiara contrario alla vendita di armi a qualsiasi paese.

Il 29 gennaio il Governo italiano ha deciso di revocare le autorizzazioni per l’esportazione di missili e bombe verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, usate in particolare per la guerra civile in Yemen. La decisione segue le indicazioni della legge 185/1990, che imporrebbe il divieto dell’export di armi verso paesi che non rispettano i diritti umani, che però è stata spesso aggirata se non del tutto ignorata. Ci sono quindi segnali incoraggianti, ma circondati da tendenze gravi e pericolose.