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30 anni fa la dichiarazione di indipendenza della Slovenia

30 anni fa, il 25 giugno 1991, la Slovenia dichiarò la propria indipendenza dalla Repubblica socialista federale di Jugoslavia. Seguirono 10 giorni di conflitto armato. Nello stesso giorno anche la Croazia dichiarò la propria indipendenza. Questa data segna un cambiamento definitivo dello scacchiere balcanico.

A settembre del 1991 anche la Macedonia si dichiarò indipendente, scatenando conflitti fra albanesi e macedoni. La Slovenia venne riconosciuta da tutti gli Stati della Comunità europea il 15 gennaio 1992. A maggio dello stesso anno entrò nelle Nazioni Unite. E, prima fra tutte le repubbliche ex-jugoslave, entra nell’Unione europea il 1º maggio 2004.

Sulla stampa protestante dell’epoca, ritroviamo le reazioni e le azioni intraprese delle chiese.

Nei bollettini del 1991 dell’agenzia stampa Nev, notizie evangeliche, si legge ad esempio dell’appello ecumenico alle chiese di Jugoslavia. Su iniziativa della Conferenza delle chiese europee (Kek) e del Consiglio delle conferenze episcopali europee (Ccee), il 3 luglio del 1991 venne inviata una lettera alle chiese jugoslave esprimendo preoccupazione per la violenza nel paese. Sono citati il Patriarca ortodosso serbo Paolo e il cardinale cattolico croato Franjo Kuharic, nonché le raccomandazioni dell’Assemblea ecumenica europea “Pace e giustizia” tenutasi a Basilea pochi mesi prima. Il documento è firmato dal cardinale Carlo Maria Martini da monsignor Ivo Fuerer per parte cattolica e dal patriarca ortodosso russo Alessio II, dal decano anglicano John Arnold e da Jean Fischer, rispettivamente presidente, vicepresidente e segretario generale della Kek.

All’epoca intervenne nel dibattito anche il pastore Emilio Castro, Segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec), che inviò un messaggio alle chiese membro del Cec in Jugoslavia: la Chiesa ortodossa serba, la Chiesa riformata e la Chiesa slovacca di confessione Augustana, invitando a cercare soluzioni pacifiche di tutte le parti in causa.

Nell’agosto dello stesso anno, il Sinodo delle chiese valdesi e metodiste firmò un ordine del giorno sulla crisi di Jugoslavia, denunciando «l’esasperato nazionalismo» come una delle cause del conflitto. Ed esprimendo «solidarietà agli inermi e ai pacifici». Il Sinodo invitava inoltre «le sorelle e i fratelli cristiani, ortodossi, protestanti, cattolico-romani, e i credenti musulmani che vivono in quel paese a farsi testimoni della riconciliazione e della pacifica convivenza per la pace e la libertà di tutti i popoli della Jugoslavia». Invitava infine le chiese cristiane di Jugoslavia «al perdono e all’offerta di pace rifiutando, in nome dell’ecumene, ogni contrapposizione confessionale».

Nel settembre del 1991 una delegazione di cattolici e protestanti si recò in Jugoslavia in visita alle chiese, per una mediazione tra serbi e croati. Gli incontri a Zagabria e Belgrado coinvolsero diverse autorità religiose di Croazia, Bosnia, Erzegovina e Voivodina. Presero parte rappresentanze serbo-ortodosse, cristiane slovacche, metodisti di Jugoslavia e altri dirigenti della Chiesa riformata ungherese jugoslava.

La Federazione battista europea iniziò una raccolta fondi per la Jugoslavia, da finalizzare ad aiuti umanitari. Anche Christian Aid e il Cec aderirono alla raccolta, insieme all’Unione battista croata, alla Chiesa ortodossa serba e al patriarcato di Belgrado.

Un’altra sottoscrizione fu lanciata dalla stessa Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), nel dicembre del 1991. Si decise inoltre per un coinvolgimento diretto dell’Opera per le chiese evangeliche metodiste in Italia (Opcemi), insieme al suo presidente, pastore Claudio Martelli. Obiettivo, l’elaborazione di un progetto di intervento mirato per le popolazioni jugoslave, in cooperazione diretta con chiese evangeliche regionali e locali.

Anche sul Settimanale delle chiese evangeliche valdesi e metodiste “La Luce” (oggi “Riforma”), nei numeri di luglio del 1991, alcuni editoriali raccontano questo pezzo di storia. Uno di questi, “Lacrime amare per la Jugoslavia”, (anno 81, n.28).

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Da rileggere, anche, l’intervista allo scrittore sloveno Boris Pahor, dal titolo “Pacifismo non è suicidio. La storia degli sloveni tra aspirazioni di indipendenza e rapporti con lo Stato federale. I tentativi, falliti, di cambiare le cose” (anno 81, n.29). L’intervista è curata da Tavo Burat, alias Gustavo Buratti Zanchi: scrittore, poeta, politico e studioso delle minoranze linguistiche, nonché Presidente del concistoro della chiesa valdese di Biella. Qui si può leggere l’intervista Di Tavo Burat a Boris Pahor.

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