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Le violenze contro i detenuti di Santa Maria Capua Vetere

Il 6 aprile a Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, circa trecento poliziotti (intervenuti dopo una rivolta messa in atto dai detenuti quel mattino) raggiungono nel pomeriggio il carcere e picchiano indiscriminatamente i detenuti. A oggi sono un centinaio gli indagati dopo i racconti fatti da chi ha subito le violenze e dopo le denunce avvalorate dai video nelle mani dei magistrati. Proponiamo l’intervista realizzata da Graziella Di Mambro a Daniela de Robert.

Lunedì scorso i carabinieri di Caserta hanno eseguito 52 misure cautelari nei confronti di agenti della polizia penitenziaria, accusati di violenze nei confronti dei detenuti, avvenute tutte la sera del 6 aprile 2020.

I provvedimenti sono stati emessi dal giudice per le indagini preliminari su richiesta della Procura della Repubblica, in seguito a un’indagine avviata dopo le denunce di alcuni detenuti.

Daniela De Robert, membro del Collegio del Garante Nazionale dei detenuti è la prima a rinnovare fiducia nel nostro sistema democratico e di controllo, «che ha consentito di intervenire subito e di individuare i responsabili, senza fare sconti».

Su quanto accaduto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, De Robert ha le idee molto chiare.

«Non possiamo criminalizzare tutto e tutti all’interno del nostro sistema carcerario, sarebbe un grave errore. Ci sono due concetti importanti che ruotano attorno a questa vicenda».

Quali sono?

«La magistratura si è mossa subito. La sera stessa sono stati sentiti i detenuti con accurati colloqui. Il Garante nazionale non si è mosso proprio perché si stava già operando. Credo che la tempistica sia importante in questa storia, perché restituisce il segno della reazione e degli anticorpi che si sono messi in moto».

Non si può negare che sia intercorso molto tempo dalla data dei fatti all’applicazione delle misure cautelari. I tempi della giustizia italiana sono molto lunghi…

«In effetti 14 mesi sono tanti. Anche il fatto che i poliziotti indagati siano rimasti in servizio nello stesso posto, e quindi con la possibilità di inquinare le prove, è certamente un elemento negativo».

Lei ha parlato di due elementi importanti nel caso specifico, qual è il secondo?

«L’aspetto mediatico. Mi riferisco al fatto che accanto alla notizia sono anche state pubblicati servizi contenenti le foto di 52 indagati. Farlo non era necessario. I pestaggi sono un vulnus grave per la nostra democrazia, tuttavia, quel modo di fare informazione potrebbe mettere a rischio tante altre persone che lavorano nelle carceri italiane. Ciò che voglio dire è che non dev’essere mai cavalcato il filone dell’odio».

I fatti contestati sono avvenuti nel 2020. Com’è possibile che sia accaduta in Italia, in Occidente, in Europa, una vicenda così terribile, inaudita?

«Le immagini video (pubblicate per primo dal quotidiano Domani sul sito web, immagini davvero forti e sconcertanti, ndr) mostrano le cose per come sono andate, cose che non dovevano assolutamente accadere. Le chiusure imposte poi in quei giorni, misure sanitarie per contenere il contagio di covid-19, purtroppo, non hanno agevolato i normali controlli; allarme che avevamo immediatamente lanciato.

C’è molto da lavorare anche sul fronte della formazione afferma poi De Robert: «l’Autorità del Garante per i detenuti ha firmato diversi protocolli con carceri e Procure italiane, proprio per promuovere la formazione. La formazione sarebbe una chiave di volta. Purtroppo, ancora pericolosi “focolai” minano la nostra democrazia. Lo ripeto ancora una volta, è sbagliato generalizzare. Come sarebbe sbagliato soffiare sul fuoco che alimenta l’odio; farlo sarebbe un grave errore. La tentazione di demonizzare la polizia penitenziaria non è giusta, demonizzare, poi non sarebbe risolutivo».

Ci auguriamo che la giustizia possa fare il suo corso individuando tutti coloro che hanno commesso violenze ingiustificate e intollerabili.  L’intervista di Graziella Di Mambro fatta a Daniela De Robert è stata pubblicata sul sito Articolo 21.org