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Una pagina tragica della storia del Canada

A fine settembre del 1989, vidi al Vancouver International Film Festival un bel film, diretto da Bruce Pittman e intitolato Where the Spirit Lives, che racconta la storia di una ragazza indiana che, alla fine degli anni Trenta, viene rapita insieme ad altri da un villaggio della tribù Kainai nel sud dell’Alberta per essere educata in una «scuola residenziale» anglicano per bambini indiani1. Questa scuola faceva parte di una rete di centri di rieducazione creati dal ministero federale per gli Affari Indiani allo scopo di integrare le comunità indigene nella società bianca anglosassone. La gestione dei centri era affidata alle principali chiese canadesi: la Chiesa cattolica, la Chiesa anglicana, oltre ai Metodisti e ai Presbiteriani che, nel 1925, formarono con altri la Chiesa unita del Canada. Un anno prima del film di Pittman, erano stati pubblicati due testi su questo argomento: Indian School Days di Basil Johnton, che era l’autobiografia di un ex-allievo, e Resistance and Renewal: Surviving the Indian Residential School di Celia Haig-Brown, il primo tentativo di ricognizione storica.

Da allora, l’esperienza delle scuole residenziali per nativi ha attratto sempre più l’attenzione di ricercatori, politici e istituzioni religiose e politiche, ed è diventata sempre più una pagina nera della storia del Canada, che è arrivata nelle ultime settimane anche sui nostri mezzi d’informazione, dopo il ritrovamento di centinaia di cadaveri in tombe anonime sui siti di scuole residenziali cattoliche nell’Ovest canadese e gli incendi dolosi di alcune chiese cattoliche.

Una certa stampa sensazionalista ha presentato questa tragica vicenda come “genocidio”, cioè distruzione deliberata e violenta di una razza, paragonandolo addirittura all’Olocausto2. Si trattò invece di una forma di “genocidio culturale” o, più precisamente, di un programma di ingegneria sociale per l’assimilazione culturale dei popoli nativi, che mirava anche a privarli dei diritti ancestrali sulle loro terre.

In realtà, il sistema delle scuole residenziali era stato già messo sotto accusa molto tempo fa. Il dott. Peter Bryce, che nel 1904 era stato nominato “ispettore medico” nei Dipartimenti dell’Interno e degli Affari Indiani, nel 1907 visitò 35 di queste scuole e ne denunciò le pessime condizioni sanitarie e l’alto tasso di mortalità, dovuto alla tubercolosi. Nel 1922, Bryce pubblicò Un crimine nazionale (The Story of a National Crime: Being an Appeal for Justice to the Indians of Canada, the Wards of the Nation, Our Allies in the Revolutionary War, Our Brothers-in-Arms in the Great War), ma la sua denuncia non servì a modificare la situazione.

La struttura iniziò a essere smantellata soltanto negli ultimi decenni del secolo scorso e nel 1996 fu nominata una Royal Commission [l’equivalente della nostra commissione parlamentare] sui popoli aborigeni, con il compito di indagare sulla violenza e gli abusi nelle scuole residenziali. Il governo federale, sulla base del rapporto della commissione, oltre a chiedere scusa a quanti avevano subito violenze fisiche o psicologiche nelle scuole residenziali, istituì una Fondazione per la cura degli aborigeni con una dotazione di 350 milioni di dollari. Infine, nel 2008, il primo ministro canadese Stephen Harper presentò scuse formali per le suole residenziali e venne istituita la Indian Residential Schools Truth and Reconciliation Commission.

La posizione delle chiese. Anche le Chiese che avevano gestito questo programma federale hanno preso posizione, anche se con grave ritardo, con dichiarazioni riguardanti il tentativo di imporre valori culturali europei ai popoli aborigeni.

Soltanto nel 1986, il pastore Robert Smith – moderatore della Chiesa unita – chiese scusa a nome della sua chiesa con queste parole: «Molto prima che il mio popolo arrivasse in questa terra, il vostro popolo era qui […]. Nel nostro zelo di annunciarvi la buona notizia di Gesù Cristo, siamo stati insensibili a valore della vostra spiritualità. Abbiamo confuso la cultura occidentale con la profondità e l’ampiezza del vangelo di Cristo. Abbiamo imposto la nostra civiltà come condizione per l’accettazione del vangelo […]. Noi vi preghiamo di perdonarci». Dieci anni dopo, la Chiesa unita ha rinnovato la richiesta di scuse «per il dolore e la sofferenza causato dal coinvolgimento della nostra chiesa nel sistema delle scuole residenziali indiane. Samo coscienti di una parte del danno che questo sistema di assimilazione, crudele e mal concepito, ha provocato per le Prime Nazioni del Canada».

Per la Chiesa cattolica, che non fu coinvolta in quanto tale ma attraverso alcuni suoi ordini regolari, nel 1991 il rappresentante delle Oblate di Maria Immacolata ha chiesto perdono «per essere stati coinvolti nell’imperialismo culturale, etnico, linguistico e religioso che faceva parte della mentalità con la quale i popoli europei affrontarono i popoli aborigeni» (ma papa Benedetto XVI, durante l’udienza privata con la delegazione dell’Assembly of First Nations del Canada svoltasi in Vaticano nell’aprile 2009, espresse soltanto “dispiacere” per il trattamento dei minori indiani nelle scuole cattoliche).

Nel 1993, la Chiesa anglicana ha chiesto scusa ai nativi per aver cercato di «modellarvi a nostra immagine, privandovi del vostro linguaggio e dei segni della vostra identità». Un anno dopo, anche la Chiesa presbiteriana ha riconosciuto che «le radici del male che abbiamo fatto si trovano nelle posizioni e nei valori del colonialismo europeo occidentale e nel presupposto che ciò che non era fatto a nostra immagine doveva essere scoperto e sfruttato».

 

1. Ci sono stati poi altri film o documentari, come We Were the Children del 2012.

2. Vedi gli articoli di Luca Codignola, «I bambini indiani morti in Canada per un tentativo di assimilazione fallito», Panorama.it (6 luglio 2021), <https://www.panorama.it/news/dal-mondo/bambini-indiani-morti-in-canada>, e Jacques Rouillard, «Le “génocide” des Autochtones», Le Devoir (6 juillet 2021), <https://www.ledevoir.com/opinion/idees/615969/le-genocide-des-autochtones>.

 

Foto: scuola residenziale indiana