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Usa, i giovani immigrati devono essere più tutelati

Lo scorso sabato 17 luglio, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden si è impegnato a proteggere centinaia di migliaia di immigrati dal rischio di espulsione. Lo ha fatto dopo che il giudice distrettuale Andrew Hanen, della Corte distrettuale del Texas meridionale, ha dato ragione a un gruppo di Stati per l’abolizione del Daca (Deferred Action for Childhood Arrivals), seppure non con effetto retroattivo, considerando lelevato numero di persone che sarebbe oggetto di tale provvedimento, e quindi ammettendo il rinnovo del Daca per quanti ne hanno beneficiato finora. La tesi di Hanen e degli Stati, guidati dal Texas, che chiedono di porre fine al programma che dal 2012 ha evitato il rimpatrio forzato di centinaia di migliaia di giovani entrati negli Usa illegalmente da minorenni, è che il presidente Barack Obama, nel crearlo, avesse oltrepassato i limiti dei propri poteri, bypassando” il Congresso.

Biden ha annunciato che il Dipartimento di Giustizia farà ricorso contro questa decisione, ricordando anche che il Dipartimento di Sicurezza interna emanerà a breve un nuovo regolamento in materia di immigrazione (questione su cui sovrintende appunto tale Dipartimento), che non abolirà affatto il Daca, anzi lo rafforzerà.

Il Segretario per la Sicurezza interna, Alejandro Mayorkas, ha ribadito che la sentenza di Hanen non cambierà i programmi del Dipartimento, interessato a proteggere questi giovani, soprattutto di origini messicane e latinoamericane, dal rimpatrio forzato.

«Ma solo il Congresso», ha ricordato Biden, che allepoca dellemanazione del Daca era vicepresidente Usa, «può garantire una soluzione permanente concedendo ai Dreamers un percorso verso la cittadinanza, che fornirà la certezza e la stabilità di cui questi giovani hanno bisogno e che meritano». Un “miraggio”, quello della cittadinanza, al momento non possibile per i beneficiari del Daca, di fatto bloccati in un limbo giuridico seppur con una serie di diritti e tutele (permesso di lavoro e di ottenere documenti come la patente, in alcuni casi sostegno economico agli studi).

Il problema è che i margini dei Democratici, sia al Senato che alla Camera, sono molto ridotti: la speranza è di poter utilizzare una procedura chiamata “riconciliazione”, che permetterebbe di far passare a maggioranza semplice un pacchetto di misure da 3,5 trilioni di dollari in cui includere anche il percorso verso la cittadinanza dei “dreamers” (dal nome di una legge, Dream Act, che prevedeva la possibilità di ottenere la cittadinanza). Un primo “test” della fattibilità della riconciliazione, proposto dai Democratici, dovrebbe avere luogo al Senato domani, mercoledì 21 luglio.

Intanto, nelle scorse settimane, diverse chiese si sono mobilitate per chiedere con forza una revisione delle leggi in materia di immigrazione, per garantire la protezione alle migliaia di “dreamers”, e in generale maggiore sicurezza per gli 11 milioni di persone senza documenti negli Usa.

“Faith in Action”, organizzazione apartitica presente in quasi tutti gli Stati Uniti, che riunisce un migliaio di comunità religiose e rappresenta la più grande rete religiosa “di base” degli Usa, ai primi di giugno ha proclamato tre settimane di digiuni, con iniziative pubbliche quali incontri, cerimonie, concerti, marce. Hanno aderito come promotori un centinaio di persone fra pastori e leader religiosi, immigrati e attivisti per i diritti, per esprimere l’importanza di una legge che riconosca come cittadini a tutti gli effetti delle persone che in molti casi sono lavoratori essenziali, soprattutto nell’ambito sanitario, assistenziale e agricolo, «portando sulle loro spalle l’economia americana», come hanno detto in molti (lo si è visto durante la pandemia, ne avevamo parlato qui). L’iniziativa promossa a livello nazionale da Faith in Action” insieme ad alcune organizzazioni per i diritti dei migranti (Casa, The Congregation Action Network, Firm Action, e dei lavoratori in come la Service employees International Union (qui il comunicato stampa), con lhashtag #WeAreEssential, punta proprio su questo aspetto, oltre che sull’«obbligo morale della nostra nazione di includere pienamente e finalmente i nostri fratelli e sorelle immigrati come parte della famiglia americana».

Ma l’azione di pressione sul Congresso arriva anche da un altro fronte, quello sempre aperto delle condizioni inaccettabili di detenzione, in particolare dei bambini, nei centri vicini alla frontiera Usa-Messico. L’allarme è stato nuovamente lanciato nei giorni scorsi, in seguito alla segnalazione di due avvocati, ripresa dalla Presbyterian Disaster Assistance, il programma di aiuto nelle emergenze e ai rifugiati della Chiesa presbiteriana degli Usa (PcUsa, qui l’articolo).

Incaricati di assistere i ragazzi nel centro per minori non accompagnati di Fort Bliss, Texas, una delle più grandi basi militari Usa (che secondo Nbc News a fine giugno ospitava 800 bambini, ma in passato ne ha ospitati anche diverse migliaia contemporaneamente), i due funzionari federali hanno denunciato, in un dettagliato rapporto, nonostante lesplicita richiesta di non rivelare pubblicamente quanto avevano visto, le condizioni “inumane” in cui i giovanissimi sono costretti, con conseguenze pesanti in termini di disagio mentale e fisico, richiamando il Congresso alla responsabilità di far cessare al più presto questa situazione.

 

Foto via Istock: una manifestazione a Dallas, Texas, 1° maggio 2010