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Crocifisso in aula, Corte di Cassazione: «la decisione sia condivisa»

Crocifisso sì o no nelle aule scolastiche. Poi ancora: il diritto del docente di essere rispettato e il diritto degli alunni favorevoli all’ostensione del simbolo cattolico a vederlo esposto in aula. Questo il “cuore” della questione che lo scorso luglio ha interrogato i giudici di Cassazione e che ieri 9 settembre ha visto la pubblicazione della sentenza.

In sintesi i giudici hanno stabilito che il crocifisso non è un simbolo discriminatorio ma che la sua esposizione deve comunque essere frutto di un percorso condiviso fra tutte le parti in causa. E perché no, si può prevedere, sempre all’interno di un dialogo aperto, la presenza anche di simboli di altre religioni. Insomma, nessuno ha potere di veto assoluto sulla controparte e le parti devono cercare «un ragionevole accomodamento». Cadono in questo modo tutte le sanzioni disciplinari che la dirigente scolastica aveva comminato al docente.

Il riferimento è legato sempre alla vicenda di Franco Coppoli, questo il nome dell’insegnante, che aveva fatto ricorso contro la sentenza della Corte d’appello di Perugia che aveva confermato la liceità della sospensione di trenta giorni subita oramai nel 2009 e poi reiterata nel 2015 per aver, a inizio delle sue lezioni, rimosso il crocifisso dalla parete dell’aula, per poi ricollocarlo al proprio posto una volta terminata l’ora.

La sospensione era stata stabilita dopo che la preside dell’istituto scolastico aveva imposto al professore di attenersi a quanto stabilito a maggioranza dall’assemblea degli studenti, non contrari alla presenza in aula del crocifisso.

La sentenza di ieri recita così: «Con la sentenza n. 24414, pubblicata in data odierna, (ieri 9 settembre ndr.) la Corte di cassazione, a Sezioni Unite, si è occupata dell’affissione del crocifisso nelle aule scolastiche. In particolare, la questione esaminata riguardava la compatibilità tra l’ordine di esposizione del crocifisso, impartito dal dirigente scolastico di un istituto professionale statale sulla base di una delibera assunta a maggioranza dall’assemblea di classe degli studenti, e la libertà di coscienza in materia religiosa del docente che desiderava fare le sue lezioni senza il simbolo religioso appeso alla parete. La Corte di cassazione ha affermato che la disposizione del regolamento degli anni venti del secolo scorso – che tuttora disciplina la materia, mancando una legge del Parlamento – è suscettibile di essere interpretata in senso conforme alla Costituzione.

L’aula può accogliere la presenza del crocifisso quando la comunità scolastica interessata valuti e decida in autonomia di esporlo, eventualmente accompagnandolo con i simboli di altre confessioni presenti nella classe e in ogni caso ricercando un ragionevole accomodamento tra eventuali posizioni difformi. Il docente dissenziente non ha un potere di veto o di interdizione assoluta rispetto all’affissione del crocifisso, ma deve essere ricercata, da parte della scuola, una soluzione che tenga conto del suo punto di vista e che rispetti la sua libertà negativa di religione.

Nel caso concreto le Sezioni Unite hanno rilevato che la circolare del dirigente scolastico, consistente nel puro e semplice ordine di affissione del simbolo religioso, non è conforme al modello e al metodo di una comunità scolastica dialogante che ricerca una soluzione condivisa nel rispetto delle diverse sensibilità. Ciò comporta la caducazione della sanzione disciplinare inflitta al professore. L’affissione del crocifisso – al quale si legano, in un Paese come l’Italia, l’esperienza vissuta di una comunità e la tradizione culturale di un popolo – non costituisce un atto di discriminazione del docente dissenziente per causa di religione.

Non è stata quindi accolta la richiesta di risarcimento danni formulata dal docente, in quanto non si è ritenuto che sia stata condizionata o compressa la sua libertà di espressione e di insegnamento».

Insomma, nessuna sanzione per nessuno. Né per l’insegnante, perché la dirigente scolastica aveva il compito di trovare una soluzione accomodante per le parti, né per la scuola, perché allo stesso modo il singolo insegnante non subisce discriminazione dalla semplice esposizione del crocifisso. Andava e andrà dunque cercata una soluzione fra le parti. 

Di fatto viene ripresa la precedente ordinanza di remissione, sentenza 19618 del 18 settembre 2020 dove la Cassazione scriveva, «Ci si può chiedere se, a fronte della volontà manifestata dalla maggioranza degli alunni e dell’opposta esigenza resa esplicita dal docente, l’esposizione del simbolo fosse comunque necessaria o se non si potesse realizzare una mediazione fra le libertà in conflitto, consentendo, in nome del pluralismo, proprio quella condotta di rimozione momentanea del simbolo della cui legittimità qui si discute, posta in essere dal ricorrente sull’assunto che la stessa costituisse un legittimo esercizio del potere di autotutela».

 

Foto di Stefan-Xp