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Scuola, palestra di laicità e pluralismo

“Nessuno educa nessuno.
Nessuno si educa da solo.
Gli uomini si educano insieme
con la mediazione del mondo.”
Paulo Freire

 

Quest’anno la ripresa delle attività scolastiche avviene non solo all’insegna delle difficoltà legate alla pandemia, quali la gestione di green pass, classi pollaio, organico dei docenti e dei collaboratori scolastici, ma anche alla luce di due sentenze che riportano al centro del dibattito rispettivamente la presenza del crocifisso nelle aule e l’attivazione delle attività alternative scelte da chi non si avvale dell’insegnamento confessionale cattolico.

In questi giorni i riflettori sono puntati su quanto ha chiarito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 24414 del 9 settembre scorso, in cui si sottolinea che «L’esposizione autoritativa del crocifisso nelle aule scolastiche non è compatibile con il principio supremo di laicità dello Stato. L’obbligo di esporre il crocifisso è espressione di una scelta confessionale. La religione cattolica costituiva un fattore di unità della nazione per il fascismo; ma nella democrazia costituzionale l’identificazione dello Stato con una religione non è più consentita».

Pertanto l’esposizione dei simboli religiosi, di cui il crocifisso è “solo” uno fra tanti, richiede alle singole comunità scolastiche autonome di attivare un percorso di discussione «…conforme al modello e al metodo di una comunità scolastica dialogante che ricerca una soluzione condivisa nel rispetto delle diverse sensibilità».

Questa sentenza apre a un confronto critico con le religioni e tra le religioni, chiede di riflettere sulla libertà delle religioni ma anche dalla religione. Non è un caso che sia la scuola il luogo in cui prende forma il dibattito sulla deprivatizzazione delle religioni poichè è proprio la scuola che intercetta e sperimenta il pluralismo religioso.

Nel 2014 la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e la Tavola Valdese aderirono all’appello “La Storia delle religioni nella scuola pubblica: fonte di educazione alla cittadinanza globale e antidoto contro ogni forma di discriminazione” con cui si richiedeva al MIUR l’attivazione nelle scuole, almeno in forma sperimentale, di un insegnamento della “storia delle religioni”. Nella considerazione dello spazio fondamentale occupato dalla religione e dalla spiritualità nella società contemporanea, sempre più multiculturale, l’appello afferma: «L’avviamento alla conoscenza delle religioni nella loro dimensione storica e culturale così come in quella sociale – che comprende anche lo studio del pensiero laico ed ateo – appare insomma come uno strumento fondamentale di educazione alla cittadinanza globale e come un potente antidoto contro derive discriminatorie, razziste o fondamentaliste».(da Notizie Evangeliche (NEV), 26 febbraio 2014)

Inutile sottolineare l’attualità di questa richiesta e l’eventuale risposta che potrebbe trovare nel percorso dell’Educazione Civica, da settembre 2020 disciplina trasversale che interessa tutti i gradi scolastici, a partire dalla scuola dell’infanzia fino alla scuola secondaria di secondo grado, in applicazione della legge 20 agosto 2019 n. 92 “Introduzione dell’insegnamento scolastico dell’educazione civica”.

L’altra novità positiva per questo anno scolastico riguarda l’attivazione tempestiva delle attività alternative scelte da chi non si avvale dell’insegnamento confessionale cattolico.

Il TAR del Lazio, con la sentenza n. 10273 del 9 ottobre 2020, ha accolto il ricorso presentato dall’Unione degli Atei e Agnostici Razionalisti nel gennaio 2013 avverso la circolare per le iscrizioni all’anno scolastico 2013/2014 emanata dal MIUR, ricorso in cui si contestava la  tempistica per la consegna dei moduli contenenti la scelta dell’attività alternativa all’Irc, da consegnare a cura degli interessati all’inizio dell’attività scolastica. Le scuole si trovavano così a dover organizzare le scelte alternative ad anno scolastico già iniziato, con inevitabili ritardi e, spesso, la permanenza in aula dei non avvalentisi con l’insegnante di religione cattolica durante l’orario provvisorio e anche oltre.

Nonostante le contestazioni del MIUR sia verso la legittimazione del ricorrente che sulle tempistiche, legate alla necessità di scindere la scelta di coscienza (avvalersi o no dell’irc) da quella delle attività alternative, con ritardi imputabili, a suo dire, all’organizzazione dei singoli istituti, il TAR ha stabilito che «se è vero che al fine di non condizionare dall’esterno la coscienza individuale nell’esercizio di una libertà religiosa sia necessaria la scissione tra scelta di non avvalersi della religione cattolica e scelta delle attività alternative (v. C. Cost. 13/1991, punto 4 della motivazione di diritto), questa seconda, pur succesiva alla prima, deve avvenire in tempi che garantiscano la tempestiva programmazione e l’avvio dell’attività didattiche secondo quanto richiesto dai principi di ragionevolezza e buon andamento. Il rinvio della seconda opzione all’incipit dell’anno scolastico contrasta con la possibilità di tempestiva organizzazione di idonea offerta delle attività alternative, con conseguente inizio ad anno scolastico ormai avviato e con soluzioni formative inadeguate o inesistenti che possono portare all’effettiva frustrazione del principio di non discriminazione per motivi religiosi e del diritto di insegnamento (v. T.A.R. Lazio n. 7076/2009 e C.d.S. n. 2749/2010)».

Il Ministero ha dovuto pertanto adeguarsi alla sentenza e con la Nota per le iscrizioni all’anno scolastico 2021/2022 ha previsto che la consegna alla scuola dei moduli con le scelte alternative avvenisse dal 31 maggio al 30 giugno 2021. Sarebbe utile avere un riscontro sull’effetto prodotto da questa nuova tempistica: le scuole hanno attivato quanto richiesto in tempo utile?

Intanto mi giunge attraverso il registro elettronico del liceo frequentato dai miei figli la lettera del vescovo in cui esprime la disponibilità ad effettuare visite pastorali nelle scuole…in effetti potrebbe essere l’occasione per chiarire chi deve fornire i dati sulle scelte della popolazione scolastica a proposito dell’irc e delle attività alternative: il Ministero dell’Istruzione o le diocesi? Ad oggi sono le diocesi a fornire questi dati, anche per i non avvalentesi, riportando, seppur in modo incompleto e parziale, le opzioni scelte, da cui risulta perfino che l’attività dello studio non assisitito, opzione C sul modulo integrativo del Ministero con la dicitura «solo per gli studenti degli istituti di istruzione secondaria di secondo grado», venga estesa anche alle scuole secondarie di primo grado.

Certo per le studentesse e gli studenti non dev’essere facile individuare una coerenza nelle azioni di una comunità educante laddove a scuola, per legge, si devono organizzare percorsi improntati ad una cittadinanza consapevole, globale, mentre “fuori”, nella collettività spesso rappresentata dal web, le derive identitarie sono sempre in agguato, pronte a rinchiudersi «in comunità omogenee dove ciascuno incontra solo il simile a sè, per mettersi al riparo dalle proprie paure, rivendicando il valore esclusivo della propria tradizione e delle proprie radici». (Elena Bein Ricco, La laicità – Ecumene Quaderni 7, 2007 , p. 27).