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La crescita dell’antisemitismo e le teorie del complotto

 

Il complesso contesto pandemico ha introdotto molte novità nella vita quotidiana a livello globale: regole per la vita sociale, norme sanitarie, un aggravarsi della crisi economica in corso da un decennio. C’è poi un ulteriore aspetto, a cui in realtà il mondo non era nuovo, che è rappresentato dalla disinformazione e dalle conseguenze anche gravi che porta con sé. 

L’Organizzazione Mondiale della Sanità è arrivata a definire questo fenomeno infodemia: un eccesso di informazioni, soprattutto provenienti da ambienti digitali, può provocare confusione e di conseguenza generare comportamenti anche rischiosi. Basti pensare alle diverse teorie che mirano a delegittimare la ricerca scientifica in campo medico, cresciute in maniera esponenziale nell’ultimo anno.

Dal punto di vista sociale è invece emersa una nuova tendenza, dalle radici più oscure e affondate nel passato. Secondo il rapporto del gruppo di difesa antirazzista Hope not hate dal nome Antisemitism in the digital age le teorie del complotto stanno contribuendo a rinfocolare e diffondere in un pubblico sempre più ampio vecchie credenze antisemite. Questo fenomeno si muove su due piani: da un lato si è ravvivata la teoria della cospirazione del “Nuovo Ordine Mondiale” secondo cui esisterebbe un gruppo segreto guidato da persone ebree che vorrebbe dominare il mondo, dall’altro i cospirazionisti (soprattutto di estrema destra) hanno lavorato per spingere persone appartenenti all’area antivaccinista e contro le restrizioni sanitarie verso un attivo antisemitismo.

Il rapporto mette in evidenza i dati provenienti da uno studio condotto in parallelo su diverse piattaforme social, segno del fatto che tracce di questi comportamenti sono rintracciabili su ognuna di esse. In particolare, l’app di messaggistica istantanea Telegram sembra essere diventata uno dei maggiori mezzi di trasmissione di queste teorie, arrivando ad ospitare moltissimi canali che possono vantare migliaia di iscritti e che diffondono contenuti apertamente antisemiti.

Nell’ultimo decennio molte delle piattaforme social più usate hanno introdotto alcuni sistemi di controllo dei contenuti, inserendo, ad esempio, la possibilità di una regolamentazione e di una moderazione delle attività che incitano all’odio. In questo senso sono stati compiuti dei progressi, ma la strada da fare sembra ancora molta.

Alcuni allarmi arrivano anche dalla Gran Bretagna, dove la Wiener Holocaust Library di Londra avverte di pericolosi parallelismi tra l’antisemitismo moderno e quello che si sviluppò nel primo dopoguerra, e dagli Stati Uniti. In questo secondo caso, l’American Jewish Committee ha condotto un’indagine statistica sulla percezione della tematica dell’odio verso gli ebrei: il 90% delle persone intervistate che si dichiaravano di religione ebraica ha dichiarato di sentire come un problema l’antisemitismo presente oggi negli Stati Uniti, mentre nel resto della popolazione la percentuale si riduce al 60%.

Il problema sembra essersi diffuso rapidamente in tutto il mondo occidentale, tanto che l’Agenzia europea per i diritti fondamentali, che raccoglie i dati prodotti da gruppi della società civile in tutto il continente, ha recentemente lanciato un segnale di allarme. Nel territorio dell’Unione Europea si sono già verificati alcuni attacchi a membri della comunità ebraica, ma c’è il timore che molti di questi fatti restino nell’anonimato e non vengano mai alla luce. A metà dello scorso ottobre la Commissione europea ha lanciato una prima strategia volta a combattere l’antisemitismo, mirando, tra le altre cose, alla promozione di attività di ricerca e istruzione.

Forse solo attraverso un’educazione capillare e profonda riguardo alla lettura critica delle informazioni si potrà abbattere la cultura del sospetto continuo e della manipolazione di quelle che vengono ritenute prove. In questo modo si potrà interrompere la troppo facile diffusione di teorie del complotto che rappresentano un rischio per la vita civile.