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Commissione ambiente: difendiamo il clima nelle scelte quotidiane

All’indomani della Conferenza delle Nazioni Unite sul clima (COP26), la Commissione globalizzazione e ambiente (GLAM) della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) riflette sui risultati del summit.

«La GLAM vorrebbe innanzitutto dare risalto allo straordinario impegno di advocacy delle chiese, anche interreligioso, verso questa Conferenza delle parti» esordisce la coordinatrice della Commissione, Antonella Visintin.

La Glam riporta, a questo proposito, alcuni commenti ecumenici. Adrian Show (Scozia), componente della Rete cristiana europea per l’ambiente (ECEN) e della Rete di eco comunità scozzese, ricorda in un suo commento i delegati, lobbisti e osservatori da tutto il mondo che si sono riuniti a Glasgow. Inoltre, parla dell’impegno locale delle reti religiose di Glasgow, che hanno lavorato per mesi a margine della COP26. Fra queste, Churches Together, Eco Congregation Scotland e molte altre realtà che, in tutta la Scozia, hanno accolto con gioia ospiti e pellegrinaggi da tutta Europa e da tutto il mondo.  Henrik Grape (Svezia), componente dell’Ecen e del gruppo di lavoro sul cambiamento climatico del Consiglio ecumenico delle chiese(Cec), da parte sua, evidenzia il valore delle mobilitazioni della società civile laica e religiosa e il loro impatto sull’opinione pubblica mondiale e, anche, sulla stessa COP26. Secondo Grape le mobilitazioni contribuiscono a sensibilizzare sull’urgenza di una transizione energetica e di processi produttivi che frenino le emissioni di gas serra.

Madre Terra, giustizia, equità

Scrive Grape: «La COP 26 è stata vista come freno dell’accordo di Parigi. Non sono sicuro. Ma penso che questo sia il momento in cui stiamo costruendo la narrativa di ciò che intendiamo essere. E questo include i nostri sistemi economici e sociali. Dobbiamo adattarli a ciò che ci dice Madre Terra e a ciò che la giustizia e l’equità ci costringono a fare. Questo è un nuovo percorso, e lo stiamo aprendo mentre camminiamo in avanti. Spaventoso per alcuni. Ispiratore per altri. Continuiamo a camminare…»

E ancora: «Il Patto per il clima menziona i combustibili fossili e l’abolizione dei sussidi. Vediamo l’impazienza quando i paesi non raggiungono l’obiettivo di 100 miliardi di dollari per l’adattamento deciso nel 2009. Osserviamo che le popolazioni indigene sono menzionate nel testo. E che l’articolo 6 dell’accordo di Parigi sembra essere risolto per avere un modo trasparente di monitorare e contare le emissioni e lo scambio di emissioni. Ma siamo ancora in una traiettoria di surriscaldamento oltre 1,5 gradi. Alcuni sostengono di 1,8. Altri di 2,2. Il rischio è alto».

L’accordo di Glasgow

Afferma la Glam: «Prima della convocazione della COP26, 153 Paesi che rappresentano il 49% delle emissioni globali di gas serra, avevano aggiornato i loro NDC (Nationally Determined Contributions, gli impegni di riduzione delle emissioni per Paese) all’accordo di Parigi. Non sono noti quelli dell’Italia. Come stimato dal rapporto di sintesi del Segretariato, questi indicatori aggiornati porterebbero a 2,7°C di riscaldamento globale entro il 2100. I paesi sviluppati avevano anche pubblicato una tabella di marcia. Nella tabella si ammetteva che questi paesi avrebbero mancato l’obiettivo di finanziamento del clima promesso, di 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020. Probabilmente non lo raggiungeranno prima del 2023».

Il Patto di Glasgow per il clima, scrive ancora la Glam, «è il risultato a cui l’Onu di Guterres e i movimenti – tra cui anche le chiese – hanno anche questa volta trascinato i Governi. Questi ultimi, peraltro, pagano già oggi costi umani ed economici significativi. Solo in Italia nell’ordine di decine di miliardi all’anno per risarcimenti e riparazioni, da un lato, e per la messa in sicurezza e la prevenzione dall’altro».

Il Patto prevede un obiettivo di riduzione concreto e misurabile pari al 45% entro il 2030. Il raggiungimento di tale obiettivo porterebbe le emissioni nette a zero attorno a metà secolo. Ma il miglioramento dei contributi NDC è stato di fatto rimandato alla prossima COP che si terrà a fine 2022 in Egitto.

«L’abbandono dei sussidi fossili (già praticato e fortemente richiesto dalle chiese di alcuni Paesi, tra cui la Svezia) è stato quasi strappato – dice ancora la Glam –. Ad esempio, con la sostituzione del phase out/ phase down (eliminazione graduale / riduzione graduale) del carbone che l’India ha chiesto e ottenuto durante l’assemblea conclusiva del vertice».

Il Patto stabilisce inoltre:

  • una tavola rotonda ministeriale annuale ad alto livello sugli obiettivi pre-2030.
  • Il Glasgow Dialogue tra le parti su perdite e danni, da convocare dal 2022 al 2024.
  • Un dialogo annuale per rafforzare l’azione sugli oceani.

Ci sono poi:

  • la Dichiarazione dei leader di Glasgow sulle foreste e l’uso del suolo, firmata da 120 paesi, per arrestare e invertire la perdita di foreste e il degrado del suolo entro il 2030. Sostenuta da fondi pubblici per la conservazione delle foreste, prevede una tabella di marcia globale per rendere sostenibile il 75% delle catene di approvvigionamento dei prodotti forestali.
  • Il Global Methane Pledge, firmato da oltre 100 paesi, per impegnarsi a ridurre collettivamente le emissioni globali di metano del 30% entro il 2030.
  • La creazione di un mercato globale del carbonio associata alla decisione di mantenere validi tutti i crediti emessi dopo il 2013 (pari a 320 mln. di tonnellate di CO2), sotto il vecchio sistema di scambio nato con il protocollo di Kyoto.

A latere, spiega ancora la Glam, lavora il CTCN (Climate Technology Center and Network), braccio operativo del meccanismo tecnologico della Convenzione quadro delle Nazioni Unite per il clima. «Esso è all’interno del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente e dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale. Questi organismi lavorano per il trasferimento accelerato di tecnologie rispettose dell’ambiente. Inoltre, per uno sviluppo a basse emissioni di carbonio e resiliente al clima, su richiesta dei Paesi in via di sviluppo, pur con risorse finanziarie limitate e insufficienti» prosegue la Glam.

Durante la COP26 sono state annunciate molte altre alleanze e dichiarazioni di intenti. Ora, «la pressione sulla politica deve proseguire sia a livello nazionale che rispetto alle scelte delle amministrazioni locali. Così come sull’economia. Consapevoli dei giganteschi interessi del settore energetico-fossile che frenano la transizione e hanno cercato di condizionare i lavori della COP. Tentativo portato avanti non solo attraverso il loro esercito di lobbisti, ma anche procurando tensioni sui mercati di approvvigionamento per marcare la propria forza di persuasione – conclude la Glam –. Le chiese, anche in Italia, dovranno rafforzare la propria credibilità. Nella presa di parola e nelle scelte minute per difendere gli interessi vitali del creato».

 

Glasgow, una marcia del movimento Fridays for Future durante il vertice sul clima COP26, 5 novembre 2021. Foto Marcelo Schneider/CEC