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Quando l’ascolto reciproco libera energie sorprendenti

 

Sfidando intemperie e pandemia, una ventina di donne si sono ritrovate al Centro Ecumene di Velletri (Rm) dal 10 al 12 dicembre scorsi per riflettere di «Teologia femminista nel divenire delle comunità». Hanno raccolto l’opportunità offerta dalla Federazione femminile evangelica valdese e metodista che, nelle parole della presidente Gabriella Rustici, ha organizzato il convegno nella convinzione che esista un «bisogno di più teologia», che diventi «fermento vivo nelle chiese, che sostenga l’impegno di tradurre i fondamenti della fede in azione concreta e voce profetica nello spazio pubblico» e che «questa parola possa essere anche una parola di donna». Donne italiane e straniere, docenti e studentesse alla Facoltà valdese di Teologia, donne “laiche” e “ordinate”, con cariche importanti e non, con livelli di preparazione diversa, unite in una ricerca comune a dimostrare, con il loro modo di esserci, che la diversità può veramente essere una ricchezza. 

Dopo i saluti di Mirella Manocchio, presidente dell’Opcemi, e di Nora Thompson, segretaria della Women’s Fellowship, fin dalla prima sera, in cui si è riflettuto sul linguaggio inclusivo della confessione di fede, il vivace confronto ha lasciato intuire alle partecipanti di trovarsi nel posto giusto. Notevole non solo il livello della discussione, ma anche e soprattutto il tono e la modalità del confronto: caratterizzato dall’interesse autentico per l’opinione delle altre. Attitudine che ha improntato tutto il convegno, conferendogli un sapore particolare. 

Quattro relazioni, frontali, ma molto chiare e coinvolgenti, hanno aperto nuovi spazi di confronto. Letizia Tomassone, mettendo in evidenza un elemento importante del pensiero femminista, ha parlato di genealogie significative; ha presentato alcune figure emblematiche, collocate in contesti molto diversi nel tempo e nello spazio: da Argula von Grumbach a Sojourner Truth; dalla congolese Kimpa Vita, alla riunione di Seneca Falls; dalle donne “evangelizzatrici” di fine Ottocento a Carlotta Peyrot, da Laura Carrari a Frida Malan… Ci sono donne che possono diventare un riferimento importante per le altre, sono accomunate da indipendenza di pensiero, creatività, capacità di collaborare per promuovere cambiamenti, con un modello di leadership basata sulla propria relazione diretta con Dio, aperte a una dimensione internazionale e a uno sguardo post coloniale… 

Gabriela Lio ha offerto uno squarcio sul pensiero delle teologhe latino americane (citando l’articolo pubblicato da Riforma sulle cinque teologhe insignite della laurea honoris causa dalle Facultades Est del Brasile, ndr). Di provenienza diversa, sono accomunate dal duplice impegno: sul versante accademico e nell’attivismo sul campo in un lavoro di riappropriazione dei testi biblici e di costruzione di sapere teologico. Interessante, anche per la realtà italiane, di particolare interesse è il lavoro di Nancy Cardoso, che ha analizzato la forza attrattiva esercitata da alcune correnti religiose sulle donne povere, nella convinzione che coloro che hanno conquistato il diritto di parola debbano farsi carico delle sorelle che vivono la religione come un rifugio/trappola. 

Corinne Lanoir ha mostrato come il libro di Ruth, storia di donne e migrazione, entri in risonanza con testi più antichi. La struttura del libro, la sua contestualizzazione in un periodo in cui si ricostruisce la propria identità e si riflette sulla necessità di darsi nuove regole, il suo linguaggio particolare, offrono una ricchezza di spunti che chiedono di essere ulteriormente elaborati. È esposto al rischio di manipolazioni strumentali e autoritarie, ma può anche dare coraggio, forza alle donne che hanno bisogno di sapere che la storia non segue un tracciato predefinito e immutabile. 

Daniela Di Carlo, dopo una ricognizione terminologica, ha osservato come la varietà di vocaboli e la scelta di un linguaggio inclusivo non è altro che un modo di esprimere le mille sfumature dell’esistenza. La realtà infatti è assai più complessa delle sue rappresentazioni, spesso stilizzate in base a motivazioni ideologiche. La chiesa deve essere uno spazio in cui si ha il coraggio di valutare la realtà per ciò che è, fiduciosi nella grazia sorprendente che libera energie e offre doni che ognuno e ognuna può mettere a disposizione della comunità. 

Un momento di confronto in piccoli gruppi ha consentito di rapportare quanto ascoltato al proprio vissuto e al proprio contesto comunitario, con un momento conclusivo di restituzione in plenaria. Rispetto alla mole di stimoli proposti bisogna ammettere che il tempo per la discussione è stato un po’ risicato… lasciando alcune parole orfane, per esempio “estrattivismo” o “making kin”! 

Dopo un momento di restituzione sul lavoro del convegno, il culto, guidato dal direttivo della Ffevm è stato molto coinvolgente e partecipato: tutte hanno trovato parole per pregare e benedire.