kiev-2340518_1280

Ucraina: l’impotenza ecumenica

 Contributo di Luca Maria Negro per il culto radio – rubrica “Il cammino verso l’unità”, andata in onda nella trasmissione “Culto evangelico”, su Radio RAI 1, domenica 13 marzo 2022 –

«La guerra in Ucraina rappresenta una tragedia non solo per il popolo ucraino, per quello russo e per i popoli dell’intera regione, anzi dell’Europa tutta: essa rappresenta anche un drammatico passo indietro per il movimento ecumenico. In Ucraina e in Russia, infatti, le chiese non sono parte della possibile soluzione del conflitto, ma del problema. L’ortodossia, anzitutto, in Ucraina appare radicalmente divisa al suo interno, tra la parte (finora maggioritaria) che fa capo al Patriarcato di Mosca, e la Chiesa ortodossa autocefala, cioè indipendente, la cui autonomia è stata riconosciuta nel 2018 dal Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, non senza pesanti pressioni da parte di politici nazionalisti ucraini e, si dice, dello stesso presidente degli Stati Uniti, Trump, che avrebbe visto in questo mossa un indebolimento della sfera d’influenza russa in Ucraina.

Ma anche la stessa parte di chiesa che è fedele a Mosca appare sempre più divisa al suo interno, a causa della posizione ambigua espressa dal Patriarca di Mosca, Kirill, il quale all’inizio del conflitto ha espresso preoccupazione per la situazione ma senza sbilanciarsi troppo e soprattutto senza lanciare un appello chiaro per la cessazione delle ostilità, diversamente dal metropolita di Kiev Onuphry che, pur essendo egli stesso del Patriarcato moscovita, ha espresso una chiara condanna dell’aggressione russa. All’inizio Kirill sembrava sostenere il suo metropolita di Kiev, ma con il passare dei giorni è apparso sempre più evidente quanto il patriarca russo sia legato a doppio filo a Putin: è del 6 marzo il sermone, da molti definito “allucinante”, con cui Kirill ha giustificato la guerra come uno scontro di civiltà tra la Russia autenticamente cristiana e l’Occidente filo-gay che vorrebbe esportare ovunque il Gay Pride. Il risultato della presa di posizione pro-Putin di Kirill, a quanto pare, è che un certo numero di vescovi ucraini del Patriarcato di Mosca hanno deciso di non nominare più Kirill nelle divine liturgie: il che equivale a uno scisma di fatto.

E le altre confessioni? I diversi organismi ecumenici e anche le organizzazioni internazionali protestanti come luterani, metodisti, riformati, hanno condannato senza mezzi termini l’aggressione russa e hanno sollecitato il patriarca Kirill a prendere posizione contro la guerra – finora invano, come si è visto. I battisti ucraini, che sono la principale denominazione protestante del paese hanno chiesto di pregare per la pace e si stanno adoperando concretamente per la solidarietà alle persone colpite dal conflitto. Il papa ha ripetutamente condannato la guerra, e il Segretario di stato cardinale Parolin ha dato la disponibilità vaticana per una mediazione: ma in qualche modo anche la Chiesa cattolica è parte in causa, a motivo dell’antica questione degli “uniati” o greco-cattolici, cioè di quegli ortodossi ucraini che nel corso dei secoli si sono uniti a Roma e alcuni dei quali, anche recentemente, hanno espresso posizioni ultra-nazionaliste.

In questo quadro di vera e propria impotenza ecumenica c’è almeno una piccola luce, che viene dalla base della chiesa: è la lettera aperta di 233 sacerdoti e diaconi della Chiesa ortodossa russa, che hanno chiesto di cessare immediatamente questa guerra “fratricida” e hanno invitato al dialogo, perché “solo la capacità di ascoltare l’altro può dare la speranza di una via d’uscita dall’abisso in cui i nostri Paesi sono stati gettati in pochi giorni”».